FILOSOFIA il linguaggio


 

Si è detto di come la ragione sia la constante in sé dell’universo, uguale in ogni situazione, necessariamente anche davanti ai diversi linguaggi che la possono esprimere: l’interferenza dei linguaggi non altera le verità di ragione. Per esempio l’inglese house e l’italiano casa hanno lo stesso riferimento oggettuale, quindi si riferiscono allo stesso ordine, in ultimo, alla stessa ragione indipendentemente dal linguaggio. Indipendentemente anche dalle possibili sovrastrutture soggettive che si possono montare sopra a quel linguaggio e a quell’ordine oggettuale (es. the house is beautiful). Non importa neppure se non si possa mai raccontare completamente un oggetto o conoscere completamente cosa qualcun’altro pensa. Non importa, perché qui si sta dicendo un’altra cosa: ponendo i diversi linguaggi sullo stesso ordine del discorso, la stessa ragione può essere raccontata ugualmente da linguaggi diversi parimente tradotti (es. the house is beautiful = la casa è bella).

Se ora prendiamo le parole tramite cui il soggetto descrive le cose, diremo che se ogni parola ha un significato dipeso da una o l’altra risposta, e se ogni oggetto e portatore di una o l’altra risposta, allora la parola del soggetto può riferirsi all’oggetto: proprietà transitiva. Cioè la parola può riferirsi alla cosa, donde il significato si riferisca sia al mentale che al fisico e donde sia il mentale ad attribuire il significato ma il fisico ad avercelo. Il significato si riferisce immediatamente a come il soggetto percepisce l’oggetto, quindi in misura e realtà personale. Con l’aggiunta che se ogni parola compare sempre dentro un senso determinato, «cioè a partire da una modalità […] di frequentazione del mondo» (Sini 2016, p. 61), allora a partire da una frequentazione della ragione in sé è possibile conoscere anche la realtà universale, giacché il senso entro cui la parola ha valore è quello universale della ragione in sé. Ricapitoliamo: se la parola acquista significato all’interno del contesto in cui si esprime, e se si può passare da un contesto universale, frequentando la ragione in sé, a un contesto personale, frequentando il fenomeno, allora anche la parola, come ogni altro essere, è portatore assieme di caratteri individuali e universali, necessariamente. Cosicché il filosofo sia colui che, custode della parola, ne sappia evincere uno o l’altro uso a seconda del contesto, con l’abilità di orchestrare tanto il particolare quanto l’universale. Astraendoci si dice che il significato della parola diventa vero in questa specifica “atmosfera”: la realtà del mondo nel suo stabile absolutum (universale) e mutevole relatio (personale).

 

Di  Vito J. Ceravolo fonte@ filosofiaenuovisentieri.com/