di Franco La Magna
Mi chiedo con quale inclassificabile e perfino offensivo criterio i programmisti RAI abbiano potuto inserire in un palinsesto notturno (stanotte, 4 gennaio, su Rai 3 dopo l’una) uno dei grandi capolavori del cinema mondiale, lo struggente “Il posto delle fragole”(1957) regia, soggetto e sceneggiatura, di Igmar Bergman (vero e proprio psicanalista con la macchina da presa), amara riflessione sulla solitudine, la vecchiaia, il senso ultimo della vita, la morte incombente, i fallimenti esistenziali, girato dal regista svedese a soli trentasette anni (che con questo film conquista l’attenzione internazionale), opera straordinariamente matura, sia sotto l’aspetto formale, che quello estetico e narrativo.
Onusto di premi e riconoscimenti, road movie ricco di poetiche e drammatiche accensioni oniriche, angosciante, ma altresì con una conclusione catartica non convenzionalmente pacificatrice, il film è interpretato dal grande regista svedese Victor Sjöström (nel ruolo del vecchio medico protagonista), morto tre anni dopo le riprese, sulla cui interpretazione Bergman dichiarò che “…si era preso il mio testo e vi aveva immesso le sue esperienze…Si era impadronito della mia anima nella figura di mio padre e se ne era appropriato”.
“Il posto della fragole”, primavera della vita, quando il gomitolo dell’esistenza è ancora pressoché intatto, è ormai irraggiungibile e perduto per sempre. Un’occasione perduta, sprecata dal servizio pubblico televisivo – come tutte le televisioni alla forsennata rincorsa dell’audience – di riproporre un grande classico, uno dei film più sofferti e straordinari di Bergman ridotto senza alcun rispetto a tappabuchi notturno.