LORENZO D’AVACK
Dopo nove anni di silenzio sono state di recente pubblicate in Gazzetta Ufficiale le nuove Linee guida sulla legge 40/ 2004 che in Italia regola la procreazione medicalmente assistita ( PMA). Il testo emanato con molto ritardo, che sostituisce quello del 2015, ha lo scopo di “fornire chiare indicazioni agli operatori delle strutture autorizzate all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita affinché sia assicurato il pieno rispetto di quanto dettato dalla legge”.
Sono Linee guida che hanno recepito i molti mutamenti costituzionali che si sono avuti in questi anni a seguito della Corte costituzionale. Tant’è che si è usi dire che la legge 40 è stata interamente riscritta da parte della Corte costituzionale e dalle direttive europee in materia. Tra queste modifiche, con riferimento all’art. 5, va considerata la c. d. “fecondazione post mortem”: in pratica la portata a nascita dell’embrione, anche se il partner è deceduto. Un principio che trova la sua ragione nel consenso iniziale dato dai partner all’approvazione della tecnica che non può essere più revocato una volta che si è formato l’embrione. La tutela normativa che viene data all’embrione è quella di ritenere che le pratiche della PMA si interrompano qualora uno dei soggetti venga a mancare, quando ancora non sia avvenuta la formazione dell’embrione stesso. Di contro viene ora ritenuta lecita la prosecuzione della PMA, qualora sia consenziente la donna, nel caso in cui il decesso del futuro padre si sia verificato dopo la formazione dell’embrione e prima dell’impianto in utero.
D’altronde se si dovesse privilegiare il principio della necessaria presenza di entrambe le figure genitoriali almeno fino all’impianto, si determinerebbe l’impossibilità per l’embrione – in questa circostanza – di giungere a nascita. E ciò in contrasto con il principio secondo cui nel nostro Paese la vita dell’embrione deve essere, nei limiti del possibile, salvaguardata e deve prevalere l’interesse alla tutela del concepito sul modello ordinario della genitorialità biparentale. Oltre al fatto che appare quanto mai legittimo che la donna possa portare a termine il suo desiderio procreativo. Peraltro, se dopo la formazione dell’embrione è irrilevante la revoca del consenso ( art 6, co. 3) è ragionevole pensare che non rilevi un successivo decesso del futuro padre così da poter bloccare il processo di nascita. Ben diversa è la ragione, sia etica che giuridica, che vieta al singolo di accedere alla tecnica: in questo caso l’embrione nasce con un solo genitore femminile o maschile in base ad una decisione a priori e non per circostanze fattuali e imprevedibili che si possano determinare nel periodo che intercorre tra la formazione dell’embrione e l’impianto. Tuttavia, la realizzazione di questo progetto parentale impone implicitamente certi limiti etici e giuridici all’uso che può essere fatto degli embrioni in questione. In genere solo la moglie o la compagna dispone del diritto di portare avanti una procreazione post mortem.
Vi sono normative differenziate: paesi quali Australia, Austria, Canada, Danimarca, Francia, Germania e Svizzera, che proibiscono la prosecuzione della procreazione dopo la morte del genitore. Altre legislazioni come quella inglese, greca e spagnola, che pur consentendo alla madre l’utilizzo degli embrioni post mortem, richiede necessariamente un accordo scritto fra i genitori, finalizzato alla procreazione e tempi tecnici per portare avanti la procreazione. Dunque regole e limiti differenziati a seconda delle diverse legislazioni. L’ipotesi, poi, che sia il partner maschile ad usufruire degli embrioni congelati o degli ovociti della moglie/ compagna deceduta con il suo consenso presuppone legislazioni di Paesi ( es. Ucraina, Australia, ecc.) che considerino ammissibile la surroga materna.
La persona che sopravvive, in genere la donna, non ha alcun obbligo di portare avanti una procreazione post mortem. La partner deve prendere una decisione sull’utilizzazione degli embrioni ed è importante che possa fare questa scelta con tempi adeguati. Le legislazioni prevedono in genere un limite temporale, anche al fine di portare avanti le procedure di successione. In vicende come queste il diritto successorio è stato definito il vero grande problema in tema di capacità di successione testamentaria e di successione legittima. Resta infine da domandarsi se colui che è stato in tal modo procreato possa pretendere dalla madre e/ o dal personale medico che ha assistito quest’ultima, un risarcimento del danno per averlo messo al mondo in quella condizione non particolarmente favorevole, data la mancanza di una delle figure genitoriali. È noto il dibattito sviluppatosi in tema di “vita sbagliata” e “nascita indesiderata”. È tuttavia opportuna una risposta negativa: in modo analogo a quanto è stato chiarito nel nostro Paese dalle Sezioni Unite in materia di danno da nascita indesiderata. Quanto al concetto di danno, la Corte rileva che esso è identificabile nella vita stessa e l’assenza di danno nell’inesistenza del nato. E ciò conduce ad una contraddizione insuperabile. Non si può quindi giuridicamente ipotizzare un diritto a non nascere.
Fonte: Il Dubbio