Fare il prof? No grazie: è “crisi del docente” nei paesi OCSE: stipendi italiani più bassi della media


“Education at a glance” 2023 è il nuovo rapporto sull’istruzione dell’OCSE, che offre una panoramica sulla scuola in Italia e nei Paesi monitorati dall’organizzazione. Stipendi bassi, docenti anziani, spesa per l’istruzione ancora sotto la media

Chi vuole diventare insegnante alzi la mano.

Purtroppo non se ne troveranno molti, di palmi, in aria. La scuola ha bisogno di docenti ma la professione è sempre meno attraente. La maggior parte dei paesi OCSE – afferma il rapporto “Education at a Glance” 2023, presentato nelle sale del Ministero dell’Istruzione e del Merito, alla presenza del ministro Giuseppe Valditara – si trova ad affrontare carenze del personale.

Insegnare, infatti, non sembra un buon investimento per chi si avvicina a questa carriera. Basti pensare – come mostra il portale Skuola.net, che ha riassunto i tratti salienti dell’indagine – che, in media, gli stipendi effettivi dei docenti di scuola sono il 9% inferiori rispetto a quanto percepisce un altro lavoratore laureato.

I professori sono sottopagati soprattutto in Italia, dove percepiscono un salario tra i più bassi dei Paesi presi in esame. Perché se gli stipendi dei docenti dei licei (pubblici) con 15 anni di esperienza sono pari a 53.456 dollari in tutta l’area OCSE, in Italia la retribuzione corrispondente, adeguata in funzione del potere d’acquisto, è di 44.235 dollari. Non solo: dal 2015 al 2022 le paghe per i nostri docenti di scuola secondaria superiore sono scese del 4%.

“C’è una crisi della professione docente in tutti i paesi OCSE”, ha sottolineato Valditara. Per il numero uno di Viale Trastevere “è sempre più un tema drammatico, che ha una spiegazione sicuramente legata all’aspetto economico: c’è una sproporzione tra lo stipendio del docente rispetto ai salari di chi ha una educazione terziaria e fa altri lavori con percentuali impressionanti in alcuni Paesi”.

Giovani docenti cercasi: gli over 50 dominano la scena

“Ridare prestigio sociale e autorevolezza è la grande sfida per rendere sempre più attraente questa professione, è questa la grande sfida del futuro”, ha ribadito Valditara. “Dobbiamo motivare i docenti e incoraggiare i giovani migliori a intraprendere questa carriera. Credo che una delle grandi emergenze su cui tutti dobbiamo ragionare, anche a livello internazionale, è come rendere attrattiva una professione strategica per lo sviluppo dei nostri paesi”. Purtroppo, però, in Italia sembra che fare l’insegnante non sia un mestiere da giovani. E non è solo un modo di dire: siamo tra le nazioni con la percentuale più alta di professori liceali over 50: il 61%, contro il 39% della media OCSE.

Se da un lato questi dati non sono certo incoraggianti, dall’altro bisogna comunque evidenziare un aspetto non secondario della vita di classe. Nonostante le polemiche che ogni anno si ripetono sulla questione delle cosiddette “classi pollaio”, nelle scuole italiane il rapporto tra docenti e studenti è tra i più “vantaggiosi”: 11 studenti per docente al liceo, 9 studenti per docente nella scuola tecnico-professionale. Valori al di sotto della media OCSE.

Dalla scuola al lavoro: ancora troppi gli studenti senza diploma

Quella che riguarda i docenti non è la sola questione aperta del sistema istruzione in Italia. In termini di investimenti finanziari, ad esempio, si potrebbe fare di più. Impieghiamo nella scuola solo il 4,2% del PIL, contro la media internazionale del 5,1%. E siamo ancora indietro nell’assicurare istruzione e occupazione a tutti i cittadini.

Un aspetto fondamentale. Chi completa la scuola, infatti, ha maggiori probabilità di trovare impiego rispetto a chi la lascia prima del diploma: il tasso di occupazione delle persone che hanno completato un ciclo di istruzione secondaria superiore (a indirizzo sia tecnico-professionale che liceale) è del 50% da uno a due anni dopo il conseguimento, del 65% da tre a quattro anni dopo e del 73% ad almeno cinque anni.

Eppure, da noi, circa 1 alunno su 5 non completa gli studi: “Nell’area Ocse il 14% dei giovani adulti non ha un diploma, ma in Italia la percentuale è del 22%, un dato che va riconnesso con la divaricazione del Paese, l’Italia rimane spaccata in due”, ha affermato il ministro dell’Istruzione e del Merito, definendolo “Un fatto moralmente inaccettabile”. Proprio in questo senso andrà a operare il programma “Agenda Sud”, che prevede fondi e iniziative che coinvolgeranno circa 2mila scuole del Mezzogiorno.

Una laurea conviene? Sì ma quella giusta, altrimenti si resta disoccupati…

Sempre a proposito dell’importanza del titolo di studio, il rapporto mostra anche come, sempre in Italia, nel 2022, il 76% delle persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni in possesso della laurea triennale risultava occupato. Non sono numeri altissimi, considerando che, a parità di livello, nei paesi OCSE era l’82% a risultare impiegato. Nonostante ciò, è evidente come avere una laurea convenga ancora, almeno in termini di guadagno: i giovani adulti (25-34 anni) con un titolo universitario triennale in bacheca percepiscono il 26% in più rispetto a quelli che si sono fermati al diploma. Chi ha la laurea magistrale o un dottorato (o equivalente) guadagna addirittura il 33% in più.

L’istruzione terziaria, però, sembra ancora un fatto d’élite. Nel nostro Paese solo il 20% delle persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni ha un titolo universitario o equivalente. Anche se, va detto, avere ottenuto una laurea non sempre è garanzia di un’occupazione. In Italia, il 16,3% delle persone dai 25 ai 29 anni in possesso di qualifiche di livello terziario non segue un percorso scolastico o formativo successivo e rientra, purtroppo, tra i ben noti NEET (Not in Education, Employment or Training), che nei Paesi OCSE sono decisamente meno (9,9%).

 

Fonte: https://www.tgcom24.mediaset.it/