Nella scenografica piazza Dante di Catania, stracolma di spettatori, nei giorni scorsi è andata in scena – per il festival lirico dei “Teatri di Pietra” 2022 – un’opera di Antonio Fortunato, su libretto di Gaspare Miraglia, scritta per commemorare in musica i due magistrati vittime della mafia. Sul sagrato della grande chiesa di S. Nicola (oggi Museo civico) l’orchestra filarmonica della Calabria, diretta da Giuliano Betta e il Coro lirico siciliano, preparato da Francesco Costa. Il testo narrativo è stato interpretato dagli attori Alessandro Idonea e Bruno Torrisi. Luci di Vito Schiattareggia. Un inno solenne contro la mafia ed una invocazione ad insorgere per liberarsene.
di Norma Viscusi*
Questo è il titolo che contiene il dramma in musica ispirato da due Uomini che hanno osato, con la semplice dedizione al servizio e l’onestà, che in loro era un imperativo morale, sfidare la Mafia. Una eredità forte, ineludibile, che scuote e non può essere taciuta. Una eredità che seppur celebrata con puntuale cadenza in tutte le istituzioni dello stato italiano (e non solo, vorremmo sperare), non aveva ancora conosciuto la sua celebrazione commemorativa nella Musica. Il merito di questa iniziativa va riconosciuto a due artisti che già, solo per il lodevole intento, meritano un plauso. Il libretto è di Gaspare Miraglia e le musiche di Antonio Fortunato. Il lavoro, difficile da rendere, per diverse ragioni, merita attenzione e riflessione per le molteplici perplessità che muove e che possono esser lette in modo forse non univoco, specialmente laddove il prodotto musicale apparrebbe poco convincente. Ma forse così non è, e un secondo ascolto, con libretto alla mano, chiarirebbe meglio soprattutto le scelte musicali di Antonio Fortunato che potrebbero forse, all’inizio, lasciare perplessi. Intanto a ispirare la musica è il testo! Dunque andiamo per gradi. Un Padre ed una Madre, figure emblematiche di quanti hanno pianto il lutto per le stragi dissennate della Mafia, depongono fiori davanti al Muro dei Martiri (magistrati, carabinieri, poliziotti, giornalisti, commercianti, gente comune sindacalisti, donne, bambini…che osarono contrastare la forza assassina), un muro che, sembra sbiadirsi nella memoria e perdere la forza simbolica ed evocativa che spinge alla rinascita civile e morale. Padre (Francesco Verna, baritono) e Madre (Clara Polito, soprano drammatico), delusi, sentono che la forza reattiva di prima si è affievolita e adesso, permane un senso di solitudine, di abbandono e di scoramento. Dunque, il dramma, introduce questa atmosfera monotona, cadenzata da ritmi costanti, e da linee melodiche che rimangono all’interno di un registro medio, senza slanci, senza risoluzioni, senza sviluppi significativi della melodia che comunque, rimane solenne ed elegante, mentre attinge a stili compositivi vari e che risultano credibili. Struggente interviene il canto, sebbene ex abrupto, innalza una preghiera alla Vergine Maria, bella, ispirata, alla quale le due figure emblematiche (Padre e Madre), consegnano una supplica, per l’intera città di Palermo: la riscoperta dei valori morali e le civiche virtù, prerogative ineludibili per una vera rinascita. Nella pièce, la memoria dell’anniversario della morte di Giovanni Falcone, muove una assemblea di cittadini mesti, abbattuti, verso quel Muro, e lì si raccoglie, per denunciare ancora lo scoramento per la forza tentacolare di quella mafia sempre più subdola e infiltrata, e l’impotenza che sembra aver paralizzato la ribellione degli innocenti e dei giusti. E la musica ancora, accompagna una linea melodica che non osa tracciare crescendi né cadenze affermative, ma rimanda sempre e permane attorno a registri ed ambiti sonori che scandiscono la grigia arresa, monotona, sempre uguale, rassegnata: efficace sensazione di quel peso che grava su quella testa china, che subisce e non ha forza di alzare lo sguardo in moti di speranza. La musica (Orchestra filarmonica della Calabria, diretta da Giuliano Betta), molto ben diretta, sembra intenzionalmente rimanere priva di energia, esanime, sebbene l’armonizzazione sia varia, si arricchisca di timbri, di armonie, si alterna a interventi tra violino solista e tutti, in moti dialoganti, in cui il coro lirico siciliano, preparato da Francesco Costa, il più delle volte sembra assumere le connotazioni del coro della tragedia greca antica, quella che incarna il sentire e l’anima del popolo, della società civile diremmo in questo caso. Degno di apprezzamento per l’alta drammaticità si pone il momento evocativo della tragedia dei due magistrati nel loro ultimo giorno di vita, sia per il testo narrativo – descrittivo di Gaspare Miraglia, che senza veli, denuncia l’inadeguatezza dei mezzi messi a disposizione dei due magistrati per la lotta cui era stati chiamati: buttati allo sbaraglio insieme agli uomini e alle donne delle loro scorte, rispetto alla potente organizzazione mafiosa; sia per l’intensa recitazione di Alessandro Idonea, nel ruolo di Giovanni Falcone e di Bruno Torrisi, nel ruolo di Paolo Borsellino. Struggente, cruda ma certamente di grande efficacia l’idea di far recitare i bambini del coro di voci bianche “Note colorate” dirette da Giovanni Mundo. I giovani cantori si sono esibiti cantando ma anche impersonando le anime di quei tre fanciulli che furono ferocemente seviziati e trucidati. Ancora un simbolo che all’interno della drammatizzazione incarna “la Mafia” è Riccardo Bosco, (basso e voce di spicco del coro lirico siciliano). Con linguaggio aspro e in dialetto: “U poteri è manu mia! Iu decidu vita e morti…”, si alterna con la Madre, che lancia moniti, sollecita il cambiamento di mentalità, di cultura, e col coro dei cittadini, che vogliono lottare ponendo fede nella Giustizia “che dal ciel ci viene data”. E’ in questi tratti che la musica cambia. Un crescendo incalzante accompagna la recita dei due protagonisti che si alimenta nell’inserimento progressivo di strumenti, cresce fino a deflagrare come quella bomba di Capaci. A quel punto anche l’indignazione cittadina cresce (poiché il ricordarne la memoria a questo deve servire), si trasforma in musica animata, viva, dinamica, esce fuori dai registri mesti e misurati e incalza come incalza la voglia di rinascere, di vincere, lasciando soddisfatto il pubblico che per un’ora ha atteso di uscire da quei suoni cupi e senza speranza. “O tu Palermo, terra adorata, Insorgi! …” un inno liberatorio, affermativo, trionfante toglie al pubblico la soffocante aria di angoscia incombente e restituisce alla società civile la Parola, il vigore, la forza della speranza e della rinascita. Ed è il cor che diventa protagonista, assorbendo le singole voci per diventare un “Tutti”. Un’opera lirica e in prosa in un atto. Prima esecuzione assoluta, 15 settembre nella splendida piazza Dante a Catania, per il festival lirico dei Teatri di Pietra 2022. Un gioco di luci tricolore, di Vito Schiattareggia, che evoca sentimenti patriottici e aggiunge ingredienti ancora ad un lavoro di carattere morale. Non manca nulla. Tutto è stato previsto in un libretto che ha trovato nella musica una adeguata compagna. Difficile in effetti mettere su, un lavoro di questo genere, conferirgli la forza che i temi meritano. Difficile trovare una forma e una formula che potessero raccontare un tema così forte, attuale, etico, con stili letterari e musicali possibili e …popolari diremmo, senza voler assegnare al termine una connotazione negativa o riduttiva. Ma tale è il tema! Onore al merito a tutti i protagonisti, primi fra tutti Antonio Fortunato e Gaspare Miraglia, siciliani, che consegnano alla storia questo dramma umano, utilizzando la forma più nobile della musica e il canto. Bravi gli attori, Alessandro Idonea e Bruno Torrisi, seriamente impegnati nel ruolo di figure reali e di grande portata umana; e i bambini del coro, anch’essi impegnati in ruoli forti e strazianti. Cosa rimane? Una grande esortazione, un’opera morale che andava fatta! E il coro lirico siciliano, che attento alle novità, ancora una volta si cimenta in prestazioni che escono fuori dai programmi stantii e datati, riuscendo sempre, per professionalità oramai consolidata e per la energica direzione del suo irriducibile direttore, Francesco Costa, a far brillare tutto, sempre di una luce in più.
* Fonte: “Zonafranca” (periodico); foto Donatella Turillo