Non versa l’Iva: «Non avevo soldi». Assolto DAL TRIBUNALE. SOCCOMBE IL FISCO DISUMANO


Non ha versato ben 225 mila euro di Iva. Ma è stato assolto: non ha pagato semplicemente perché non aveva i soldi per farlo, visto che l’azienda era in crisi. E perciò non c’è reato.

Protagonista della vicenda M.G., imprenditore titolare della ditta “Maeli Srl” di Treviso. L’uomo è finito a processo con l’accusa di non aver pagato circa 225 mila euro di imposta sul valore aggiunto, in violazione dell’articolo 10 ter della legge sui reati tributari (decreto legislativo 74 del 2000). Una fattispecie di reato che sempre più spesso trasforma gli imprenditori in imputati, di questi tempi. E spesso, quasi sempre, arrivano le condanne. In questo caso, no: il giudice, nonostante la richiesta di condanna a un anno di reclusione avanzata dal pubblico ministero, ha riconosciuto che dietro il mancato versamento dell’Iva da parte di M.G. non c’era il dolo, ovvero la volontà di tenersi i soldi in tasca, bensì l’impossibilità. L’imprenditore, infatti, non è riuscito a onorare le sue pendenze con il Fisco, ma non solo quelle: non è riuscito a pagare nemmeno altri creditori che aspettavano i soldi.

Difeso ieri in aula dall’avvocato Silvia Bersani, l’imprenditore edile è riuscito insomma a dimostrare al giudice che c’era una «oggettiva impossibilità» a pagare l’Iva, e non la volontà di tenersi i soldi in tasca, o nelle casse dell’azienda. Per questo motivo, l’imprenditore è stato assolto «perché il fatto non costituisce reato». «Depositando il bilancio dell’azienda e dimostrando la crisi di liquidità», ha detto l’avvocato Bersani, «abbiamo dimostrato che l’impresa non era, volente o nolente, nelle condizioni di versare l’Iva entro i termini richiesti».

Una sentenza insolita, ma non del tutto nuova. Un episodio analogo si era verificato a Padova a ottobre dello scorso anno: M.G.F., imprenditrice accusata di non aver versato quasi 70 mila euro di Iva, era finita di fronte al giudice monocratico del tribunale padovano. Giudice che l’ha assolta, anche in quel caso con la formula del «fatto non costituisce reato», dopo che lei e il suo avvocato, in aula, avevano sostenuto che quei soldi, dovuti all’Erario, lei non se li era intascati ma, in un momento difficile della sua impresa, li aveva usati per pagare lo stipendio ai dipendenti dell’azienda.