Etica dei principi ed etica della responsabilità, anche in politica


 

La prima forma di etica fa riferimento a principi assoluti, che assume a prescindere dalle conseguenze a cui essi conducono: di questo tipo sono, ad esempio, l’etica del religioso, del rivoluzionario o del sindacalista, i quali agiscono sulla base di ben precisi principi, senza porsi il problema delle conseguenze che da essi scaturiranno. Si ha invece l’etica della responsabilità in tutti i casi in cui si bada al rapporto mezzi/fini e alle conseguenze

 

di Renato Costanzo Gatti

 

“Weber si muove all’interno di una filosofia dei valori i cui presupposti sono la distinzione tra essere (Sein) e dover essere (Sollen) e il riconoscimento di una pluralità di sfere dei valori (quel “politeismo dei valori” in forza del quale nell’etica il valore è il buono, nell’estetica il bello, ecc). In un mondo che si è spopolato degli dèi e delle forze magiche per diventare il puro e semplice teatro dell’agire razionale dell’uomo, proprio perché i valori sono tanti e inconciliabili, nel chinare il capo a certi valori se ne escludono altri, ci si trova ad affrontare una forma di dualismo tra l’etica dei principi (Gesinnungsethik) – anche detta etica delle intenzioni o delle convinzioni – e l’etica della responsabilità (Verantwortungsethik).

La prima forma di etica fa riferimento a principi assoluti, che assume a prescindere dalle conseguenze a cui essi conducono: di questo tipo sono, ad esempio, l’etica del religioso, del rivoluzionario o del sindacalista, i quali agiscono sulla base di ben precisi principi, senza porsi il problema delle conseguenze che da essi scaturiranno. Si ha invece l’etica della responsabilità in tutti i casi in cui si bada al rapporto mezzi/fini e alle conseguenze. Senza assumere principi assoluti, l’etica della responsabilità agisce tenendo sempre presenti le conseguenza del suo agire: è proprio guardando a tali conseguenze che essa agisce. Sicché l’etica dei principi è quella della responsabilità sono due etiche opposte e inconciliabili, che fanno capo a due diversi modi di intendere la politica, come nota Weber in Politica come professione: l’etica dei principi è, in definitiva, un’etica apolitica, come è testimoniato dal Cristiano che agisce seguendo i suoi principi e senza chiedersi se il suo agire possa trasformare il mondo. Al contrario, l’etica della responsabilità è indissolubilmente connessa alla politica, proprio perché non perde mai di vista (e anzi le assume come guida) le conseguenze dell’agire.” (da filosofico.it)

 

Etica dei principi

La Russia è l’aggressore, l’Ucraina è l’aggredita. Sono state infrante le norme della convivenza internazionale. Occorre fare in modo che le truppe russe se ne ritornino al di là dei confini, per fare questo bisogna aiutare l’Ucraina con aiuti umanitari ma anche con aiuti militari. Noi inviamo armi e predisponiamo pacchetti di sanzioni (siamo arrivati a sette) per costringere la Russia a ritirarsi. La Russia ci colpisce con contro-sanzioni e soprattutto usa la fornitura del gas come efficace strumento di guerra. Noi rispondiamo cercando gas altrove e limitando i nostri consumi, ma i prezzi salgono alle stelle. Noi escludiamo la Russia dai circuiti finanziari internazionali in modo da isolarla nei commerci, la Russia allora pretende il pagamento in rubli per il gas che contrattualmente ci deve, salvo sospendere o limitare le forniture per asserite manutenzioni rese necessarie dalle nostre sanzioni. Per reagire all’utilizzo da parte della Russia di quel postribolo che è il TTF ci inventiamo il price-cap, che è l’allargare il conflitto sul campo economico contrapponendo un monopsomio ad un monopolio. Inviamo, non noi ma USA e UK, armi più sofisticate e diamo consulenza strategico-militare che ha successo nelle zone occupate, la Russia indice i referendum per far divenire stati aderenti alla federazione russa le zone occupate di modo che chi attacca quella zone attacca la federazione russa con le conseguenze belliche che possono portare ad utilizzare armi atomiche tattiche. Il ministro degli esteri USA risponde che all’uso di armi atomiche gli USA “e i suoi alleati” (ma vi risulta che siamo stati consultati?) reagiranno di conseguenza.

Tutti i passi presi dall’una come dall’altra parte sono presi ispirandosi all’etica dei principi: tu invadi io ti punisco, tu reagisci ed io rispondo per le rime. Tutto logico, ma quel che non si vede è dove questa “escalation” può arrivare, o meglio si sa dove arriva ma si finge che così non sia e ci si stupisce se qualcuno lo confessa apertamente. Se nessuno interrompe questa logica, se la presidente della commissione UE continua a ripetere “vinceremo!”, rischiamo di infognarci in un sentiero senza ritorno ma con uno sbocco unico, da non augurare a nessuno.

 

Etica della responsabilità

Non mi pare corretto dire, come dice Weber, che l’etica della responsabilità non assume “principi assoluti” o meglio sarebbe dire che non assume in modo assoluto, relativizzandoli, principi che si rifanno ai valori. Se ad esempio, mettendosi nei panni dell’altra parte, ricercassimo indietro nel tempo possibili ragioni per la posizione di Putin, credo che faremmo un buon inizio di impostazione dei problemi, pur avendo fermo il principio che, per quante ragioni Putin possa avere, esse non sono mai sufficienti a giustificare una invasione. E di ragioni Putin ne ha. Partiamo dalla promessa, non trasfusa in un trattato, ma documentata e scritta nei documenti della NATO, che, dopo il crollo dell’URSS, la NATO fece a Gorbachev per cui la NATO non si sarebbe espansa al di là del fiume Reno. Il patto di Varsavia viene sciolto, la NATO invece rimane. Si era poi giunti, con Pratica di Mare, ad ipotizzare la realizzazione dell’auspicio di Gorbachev di fare dell’Europa una casa comune, giungendo ad ipotizzare un ingresso della Russia nella UE. Poi però, ad iniziare fu Clinton, l’area della NATO si è estesa ad est inglobando, anche in successivi passi, quasi tutti i paesi ex sovietici. L’idea di una “finlandizzazione” di tutta quell’area cade, creando, e non a torto, un complesso di accerchiamento, che la Russia subiva.

Che poi, con la sua azione Putin abbia spinto Svezia e Finlandia a chiedere l’ingresso nella NATO sta a dimostrare il disastro che Putin si è tirato contro, il fallimento della sua politica. Nel 2014 viene destituito un presidente russofono, un colpo di stato che inizia il capitolo Ucraina, che introduce in costituzione l’adesione alla NATO. Ma che ci faceva, prima dell’invasione, la NATO in Ucraina a fare esercitazioni? Ma i nostri governanti erano a conoscenza e concordavano con ciò? Ma un altro punto mi pare importante; l’art.10 della NATO dice “Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico”. L’art. 10, quindi, dimostra che a volere l’ingresso nella NATO dei paesi ex-sovietici sono stati i paesi aderenti alla NATO essendo irrilevante il fatto che i paesi ex-sovietici l’abbiano richiesto ma soprattutto senza considerare che aver invitato quei paesi non contribuiva alla sicurezza della regione dell’Atlantico ma costituiva un “accerchiamento” della Russia (termine forte, ma la sostanza è quella). Ritengo che se si fosse invece perseguito il progetto di “finlandizzare” tutta quella fascia di paesi, oggi non saremmo alle viste della terza guerra mondiale.

Erdogan è un dittatore, brutto e cattivo, ma dimostra di essere in grado di portare a soluzione l’esportazione del grano bloccato nei silos ucraini e lo scambio di prigionieri tra Russia ed Ucraina. Questo mi pare un atteggiamento ben diverso da quello tenuto dal divo Draghi che pensa ogni sua azione con la rigidità dell’etica dei diritti: propone il price-cap, dichiara farsa i referendum nel Donbass, sostiene convintamente ogni tipo di sanzioni, etc. Erdogan dimostra che con Putin si può anche trattare. Mi si risponde che Erdogan è un dittatore, un autocrate e chi più ne ha ne metta. Rispondo che anche un dittatore può fare cose responsabili, ed addirittura positive. E quando penso a ciò non posso non pensare, non tanto ad un dittatore come Stalin, quanto alla città che porta il suo nome. Senza Stalingrado oggi noi non saremmo qui a discutere.

C’è un’altra strada? Secondo me sì, ed è quella indicata dall’art. 11 della nostra Costituzione che “ripudia la guerra (…) come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. La nostra Costituzione ci impone quindi di ricercare pervicacemente, insistentemente la pace, tentando con ogni sforzo di coniugare mezzi/fini consapevoli della responsabilità che grava su di noi per perseguire l’obiettivo della pace e per evitare danni e lutti.