Età legale vs età effettiva: in Italia si va davvero in pensione troppo tardi?


Michaela Camilleri e Mara Guarino

Una delle maggiori criticità del sistema pensionistico italiano è l’elevato numero di norme che hanno concesso nel tempo deroghe rispetto all’età legale di pensionamento per alcune categorie di lavoratori: dalle baby pensioni del 1969 ai prepensionamenti dovuti alle diverse crisi di settore, dalle nove salvaguardie per gli esodati alle anticipazioni come APE, Opzione Donna e le varie Quota 100/102 o 103. Una vera e propria “giungla pensionistica” che, come evidenzia l’Undicesimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, ha da una parte allungato la durata delle pensioni, lì dove la durata corretta di una prestazione pensionistica sotto il profilo attuariale non dovrebbe superare i 20-25 anni e, dall’altra, prodotto un abbassamento dell’età effettiva di pensionamento di cui spesso non si tiene conto nel dibattito sui requisiti di accesso e nelle conseguenti scelte politiche.

Fissata a 67 anni l’età pensionabile per la vecchiaia, a che età si va davvero in pensione in Italia? Sulla base dei dati tratti dall’Osservatorio pensioni INPS e rielaborati dalla pubblicazione presentata il 16 gennaio scorso alla Camera dei Deputati, è possibile mettere a confronto l’età legale con l’età media effettiva alla decorrenza della pensione, oltre a evidenziarne l’evoluzione nel tempo. Dato, quello sull’età effettiva alla decorrenza, ancora più rilevante in un Paese, come l’Italia, alle prese con una forte transizione demografica e, in particolare, con una delle aspettative di vita alla nascita e a 65 anni (anche se non sempre in buona salute) più elevate in Europa e al mondo.

Per quanto riguarda la pensione di vecchiaia, nel 1997 l’età legale richiesta per i lavoratori dipendenti del settore privato era di 63 anni per gli uomini e 58 anni per le donne, con un’anzianità contributiva di almeno 18 anni, mentre l’età media effettiva al pensionamento è stata di 63,5 anni per gli uomini e di 59,3 anni per le donne. Nel 2018 l’età legale per la pensione di vecchiaiaviene unificata per genere e attività lavorativa nell’anno precedente e dal 2019 resta bloccata a 67 anni fino al 31 dicembre del 2024, così come previsto da apposito decreto del MEF. Gli ultimi dati relativi al 2022 evidenziano, in linea con il 2021, un’età media effettiva di pensionamento per la vecchiaia pari 67,3 anni, quindi oltre l’età legale di 67 anni sia per gli uomini (67,4) che per le donne (67,3).

Per la pensione di anzianità, invece, nel 1997 era sufficiente avere 35 anni di contribuzione e un’età di almeno 52 anni oppure 36 anni di anzianità con qualsiasi età e l’età media alla decorrenza era di 56,5 anni per i maschi e di 54,4 anni per le donne, quindi oltre l’età legale. Nel corso degli ultimi anni, però, per effetto dei diversi canali di uscita anticipata introdotti, l’età media effettiva alla decorrenza per la pensione di anzianità/anticipata si è costantemente ridotta: se nel 2021 si è attestata a 61,8 anni per gli uomini (era di 62,5 nel 2019 e 61,9 nel 2020) e a 61,3 anni per le donne (era di 62,4 nel 2019 e 61,3 nel 2020), nel 2022 è scesa ulteriormente a 61,6 anni per gli uomini e a 61,2 per le donne. Anche nella media maschi-femmine, l’età effettiva della pensione anticipata diminuisce ancora a 61,5 anni: «Senza deroghe – evidenzia il Rapporto – l’età di uscita anticipata sarebbe stata ben maggiore e verosimilmente vicina al target dei 64 anni».

Come rimarca la pubblicazione, va innanzitutto ricordato che per il periodo compreso tra l’1 gennaio 2019 e il 31 dicembre 2026, sono stati bloccati gli adeguamenti della speranza di vita per i requisiti contributivi richiesti per la pensione anticipata che, a prescindere dall’età anagrafica, consente l’uscita dal mondo del lavoro con un’anzianità di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e di 41 anni e 10 mesi per le donne. Un provvedimento che ha posto temporaneamente rimedio a una delle maggiori storture della riforma Monti-Fornero, vale a dire l’aggancio dell’anzianità contributiva alla speranza di vita nel caso della pensione anticipata (a fronte appunto di una lunga contribuzione), cui hanno fatto da contraltare numerosi meccanismi di anticipazione. Ad esempio, anche Quota 100, i cui requisiti all’introduzione richiedevano almeno 62 anni di età (non adeguabili alla speranza di vita) e 38 anni di anzianità, dall’1 aprile 2019 è rientrata statisticamente tra le pensioni anzianità/anticipate; principio analogo per Quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi) e per Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi). Un altro canale di uscita per la pensione anticipata da considerare è poi Opzione Donna, nata sperimentalmente nel 2004 e prorogata con qualche modifica di anno in anno, prevedendo al 2023 35 anni di contribuzione e un’età anagrafica di 60 anni, con uno sconto di un anno per figlio nel limite massimo di due anni; possono tuttavia accedervi solo le lavoratrici che, raggiunti i requisiti entro il 31 dicembre 2023, siano caregiver, invalide almeno al 74% oppure licenziate o dipendenti di aziende per le quali è attivo un tavolo di crisi.

Tenuto conto del fatto che le pensioni anticipate sono tendenzialmente le più elevate per numero (e importo) incidendo quindi molto sulle età di fruizione, se si considera il complesso della vecchiaia – anzianità, vecchiaia e prepensionamenti – si osserva che nel 2022 l’età media effettiva del pensionamento è di 64,4 anni.Nel calcolo di tale età media, ponderata per genere, pesa di più l’età maschile (gli uomini sono il 59% del totale dei due generi), pari a 64,2 anni, che quella femminile (il 41%) pari a 64,7 anni. D’altra parte, come ribadito anche dal documento, l’età di pensionamento delle donne ha subito, in modo più incisivo dal 2014, un graduale innalzamento dei requisiti anagrafici, che ha provocato una brusca frenata nel numero delle pensioni di vecchiaia e il prevalere come via di uscita, anche se in misura molto ridotta, del canale anzianità/anticipata, di cui tipicamente beneficiavano in precedenza soprattutto gli uomini con anzianità più elevate e carriere continue.

Tabella 1 – Età effettiva al pensionamento IVS e numero di pensioni IVS liquidate nel settore privato
Fonte: Undicesimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, Itinerari Previdenziali

Se, insieme all’età media effettiva di pensionamento per vecchiaia o anzianità/anticipata, si tiene infine conto anche di quella per invalidità previdenziale, ossia l’età media effettiva di tutte le uscite per pensionamento previdenziale diretto, nel 2022 si arriva a 63,2 anni per gli uomini e 63,5 anni per le donne, con una media dei due generi di 63,4 anni; in leggero aumento, dunque, rispetto al 2020 e al 2021, quando si era mantenuta costante sui 63,3 anni. Numeri che i nostri decisori politici dovrebbero ponderare attentamente, insieme a quelli sul progressivo invecchiamento della popolazione, nelle valutazioni relative all’introduzione di nuovi canali di pensionamento anticipato.Perché se è pur vero che la legge Monti-Fornero presenta nell’eccessiva rigidità in uscita uno dei propri limiti più importanti, lo è altrettanto che negli anni proprio le numerose deroghe introdotte hanno in gran parte eroso quei (necessari) risparmi che la riforma si prefiggeva di raggiungere. Il tutto mentre, come ben sottolinea l’Undicesimo Rapporto, sono 334.078 gli assegni previdenziali tuttora pagati dall’INPS a persone andate in pensione nel lontano 1980 o ancora prima a causa di requisiti di eccessivo favore: un monito che viene dal passato per i fautori di eccessive anticipazioni o di età di pensionamento non coerenti con le tendenze demografiche.

Analizzando, infine, la media ponderata delle età effettive alla decorrenza di tutte le categorie di pensione, comprese pensioni ai superstiti e trattamenti assistenziali, nel 2022 si rileva un’età media effettiva di 68 anni, con una forbice però notevolmente amplificata tra i due sessi. Mentre per gli uomini, l’età alla decorrenza è di 64,9 anni, per le donne è di 70,5. A pesare su questo dato soprattutto prestazioni ai superstiti (le reversibilità), le cui beneficiarie vanno appunto ricercate in prevalenza nella platea femminile, e trattamenti assistenziali, erogati – va ricordato – a carico dalla fiscalità e non sorretti (del tutto o in parte) da contribuzione.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali