Di Vittorio Sangiorgi (Direttore del Quotidiano dei Contribuenti)
L’attuale quadro geopolitico mondiale è animato da diverse tensioni, basti pensare alla contrapposizione tra Turchia e Grecia, alla complessa situazione siriana e al contrasto Usa – Cina. A questi focolai di tensione, recentemente, se n’è aggiunto un altro, con radici profonde ed antiche, che contrappone lo stato della grande muraglia alla confinante India.
Teatro dello scontro, che è anche sfociato in alcuni contrasti armati, la frontiera himalayana e due enormi porzioni di territorio che sono, da sempre, oggetto di reciproche rivendicazioni da parte di India e Cina. Ad essere contese sono due regioni: l’Aksai Chin (37000 kmq pressoché disabitati) e Aruchanal Pradesh (84000 kmq abitati da circa 1 milione di persone). Lo scontro in queste aree va avanti, tra fasi di latenza ed improvvisi momenti di tensione armata, dal 1962, ma le rivendicazioni che lo animano, lo dicevamo, hanno radici secolari. Delhi, infatti, sostiene che i confini siano stati stabiliti all’inizio del XX secolo, in virtù degli accordi tra l’allora India britannica e le autorità indipendenti dello Xinjiang e del Tibet. Pechino, dal canto suo, sostiene, addirittura che questi accordi non abbiamo mai avuto luogo e che, in ogni caso, non siano da considerarsi validi. Ad alimentare il fuoco della tensione non sono soltanto ragioni di natura economica, visto che le due aree sono ricche di risorse naturali ed energetiche, ma sono soprattutto motivazioni politiche ed ideologiche, visto l’alto valore simbolico che i territori rivestono per le due nazioni.
Ma veniamo al più recente scontro tra le due nazioni, che segue in linea cronologica quello avvenuto lo scorso 15 giugno, allorquando venti soldati indiani rimasero uccisi. A levare per prima gli scudi è stata la Cina, che accusa l’India di aver oltrepassato illegalmente il confine, ponendo in essere una “grave provocazione militare”. In risposta a questa provocazione, secondo quanto dichiara il portavoce del Comando Occidentale dell’Esercito di liberazione popolare cinese Zhang Shuili, i soldati cinesi “sono stati costretti a intraprendere contromisure corrispondenti per stabilizzare la situazione”, ovvero hanno risposto al fuoco. Pechino chiede dunque al governo indiano di interrompere le azioni pericolose e di ritirare le truppe protagoniste dello sconfinamento. Accuse, queste, prontamente respinte e rimandate al mittente da Delhi: “L’esercito indiano ha esercitato grande moderazione e si è comportato in modo maturo e responsabile”. Secondo la versione indiana, inoltre, le azioni provocatorie sarebbero state compiute dall’esercito cinese.
Al di là delle singole responsabilità per l’episodio in questione, ciò che emerge chiaramente è la continua tensione che contrappone i due stati e che non si è sopita nemmeno dopo l’incontro, avvenuto a Mosca grazie alla mediazione della Russia, tra i due ministri della difesa. Al momento, nonostante i recenti avvenimenti, gli scenari più gravi, come lo scoppio di una guerra, sono da escludere, ma è indubbio che le continue scaramucce non depongono a favore della stabilità di un’area tanto importante.