Pola 1875 – Milano 1952
di Paola Cosmacini
Erminia nasce in Istria, in territorio asburgico. Il padre è Raimondo Bosich di Trieste, la madre Lucia Ciak di Cittanova (l’odierna Novigrad). Sarà quindi a Trieste che Erminia frequenterà il Civico Liceo Femminile, negli stessi anni in cui vi sarà iscritta anche la futura papirologa Medea Norsa.
Erminia ama la pittura. Dipinge. A ventidue anni è la formosa ragazza dai folti capelli corvini, che espone i propri dipinti alle mostre del Circolo artistico di Trieste, ottenendo lusinghieri riscontri sulla stampa locale. Nel 1902 Carlo Wostry, versatile pittore e raffinato intellettuale, la ritrae in una posa poco usuale: è un dipinto dal sapore orientaleggiante di grande bellezza e intensità. Wostry riporta sul quadro la dedica “alla distinta collega Erminia Bossi”1.
Nel 1904 «Il Piccolo» segnala i suoi pastelli “modellati con energia quasi violenta” con “un impeto di colore così acceso di luci arrischiate da impressionare l’osservatore”. Non è però impressionismo, bensì espressionismo quello che la “collega” Erminia vuole raggiungere; e pertanto, poiché da Trieste “tutti accorrevano a Monaco”, la città europea dove recarsi a studiare e ad avere contatti efficaci per avvicinarsi alle nuove tendenze figurative, Erminia raggiunge la capitale del regno di Baviera. Ermina, in una “istantanea” di pochi anni dopo, ci pare una simpatica giovane donna che con piglio risoluto guarda fissa in camera; e la colomba bianca che campeggia sull’ampia falda del suo cappello di paglia denota una sicurezza quasi spavalda.
Poiché alle donne erano precluse le Accademie istituzionali, pare accertato che a Monaco abbia seguito i corsi dell’Accademia femminile dell’associazione delle artiste, sorta sull’esempio dell’Allgemeine Deutsche Frauenverein. Si tratta di istituzioni di nuova creazione sorte con l’intento di agevolare le giovani artiste anche mediante l’allestimento di mostre nelle quali assegnare premi e borse di studio.
Erminia segue i corsi di pittura di Heinrich Knirr (1862-1944), il futuro pittore ufficiale di Hitler, e di Friedrich Fehr (1862-1927). Ciò cui tende Erminia non è solo il dotarsi degli strumenti per utilizzare al meglio il suo “colore così acceso” come mezzo espressivo, ma è anche il poterlo ottenere al di fuori del prestigio di tali Accademie: si tratta di utilizzare in modo sapiente le proprie capacità per attestarsi in posizione d’avanguardia. Il terreno è dunque fertile per l’incontro con l’avanguardia artistica tedesca.
Questo incontro passa per una giovane di Berlino, di due anni maggiore di Erminia. È una pittrice, già inserita nell’ambiente: si chiama Gabriele Münter ed è “l’allieva senza speranza” di Vassily Kandinsky. Costui a Monaco, nel quartiere di Schwabing, aveva aperto nel 1901 una scuola di pittura, la Phalanx-Schule, per seguire quelle “belve” francesi (i fauves) che imprimevano violenza espressiva al colore steso in tonalità pure. L’espressionismo tedesco riprenderà infatti i temi principali del movimento francese quali l’esaltazione della forza dell’arte primitiva e l’emancipazione dell’artista da convenzioni e formalismi obsoleti.
Nel 1908 Kandinsky e la Münter acquistano una casa a Murnau, nell’Alta Baviera, dove si stabiliscono per sperimentare la nuova pittura e vivere il loro amore. La Russenhaus, dove soggiorna anche la coppia di pittori russi formata da Alexei Jawlensky e dalla bella, intelligente, e a quel tempo ricchissima, Marianne von Werefkin, diventa un luogo d’incontro e un centro culturale. A Murnau, Kandinsky crea i primi lavori nei quali dipinge immagini prive di volume e sperimenta forme e sui colori. Alla Russenhaus arriva anche Erminia che ora è Erma. È un nome, questo, che richiama la grecità e il dio Hermes, “essenziale espressione” della sua persona. Jawlensky la ricorda nei suoi diari e Gabriele Münter la ritrae intenta ad ascoltare il maestro, entrambi seduti al tavolo di cucina 2. Per parte sua Erma ritrae la comune amica Marianne: è un sorprendente olio nel quale la figura femminile emerge in mezzo a grandi campiture nere, rosa, blu e gialle.
Nel 1909 è fondata la Neue Künstlervereinigung München (NKVM), alla quale partecipa anche Erma. È un riconoscimento. L’Associazione include infatti, tra i suoi membri, oltre a Kandinsky e alla Münter, a Jawlensky con la Werefkin, il russo Vladimir von Bechtejeff, i pittori tedeschi Alexander Kanoldt, Paul Baum, Karl Hofer, Adolf Erbslöh e l’austriaco Alfred Kubin, il quale ha appena dato alle stampe il romanzo Die andere Seite (L’altra parte), considerato il primo esempio di letteratura espressionista. È da questo gruppo che scaturirà il movimento artistico Der blaue Reiter.
Sempre nel 1909 e sempre a Monaco, è fondata, dal mercante d’arte Heinrich Thannhauser, la Modernen Galerie. Erma è nel pieno della sua attività e della sua personale rivoluzione. Si reca a Parigi per “toccare con mano” le avanguardie francesi care a Kandinsky. Nel 1910 vive quindi tra Murnau e Parigi, dove entra in contatto con l’avanguardia grazie agli inviti al Salon des Indépendents e al Salond’Automne: del 1906-09 è Pariser Stadtlandschaft. “La vigoria della sua pittura, le solide qualità coloristiche l’avevano in breve fatta apprezzare al punto che i suoi quadri venivano ricercati nella capitale francese” (si scriverà a Milano nel 1925).
Tra il 1909 e il 1912 Erma partecipa alle tre mostre organizzate dalla NKVM ed espone alla galleria di Thannhauser. Vividi esempi di questo complesso periodo di sperimentazione sono Ballerina in rosso del 1909, Im Café (Interieur mit Figuren) del 1909-10, Im Garten del 1910, le Bagnanti e il tragico Compianto sul Cristo del 1911. Utilizzando colori intensi, Erma ha ormai un proprio linguaggio che scarnifica gli oggetti: semplificato è lo stile, vitale è l’uso della sua palette di colori puri e intensi. Particolarmente riuscito ci pare Drei Frauen (1910) dove il giallo, il blu e il rosso identificano le tre donne dai profili neri, netti e spigolosi.
È in questo periodo che si reca a Milano e, molto probabilmente, si sposa, perché la firma Erma Barrera Bossi compare in alcuni dipinti collocabili tra il 1910 e il 1920. Dovrebbe infatti essere del 1910 il suo Ponte sulla Martesana, un acquarello semplice e lineare, a firma Barrera Bossi. Lo sposo parrebbe essere stato il tenore Carlo Barrera, originario della lombarda Valsolda.
A Monaco, intanto, Thannhauser nel 1911 presenta la prima esposizione del movimento Der blaue Reiter appena formato (che resterà attivo fino al 1914). Anche Erma vi espone, presentando pitture di fortissima espressività, dai colori vivi – come il giallo e il blu della Natura morta con caraffa del 1912 – e con rimandi tematici chiaramente ispirati alla capitale francese, come le tele Caffè Blanche e Moulin Rouge (citate nei cataloghi delle mostre monacensi). Intorno al 1911-12 con tutta probabilità vive a Parigi, dove le tracce dell’artista diventano meno chiare con dubbie notizie sulla sua partecipazione a diverse esposizioni. Allo scoppio della Grande Guerra si trasferisce definitivamente a Milano, pur esponendo ancora a Monaco.
L’amore tra Kandisky e la Munter è finito. Lui è a Berlino, lei è restata a Murnau. Il periodo d’oro vissuto da Erma è finito. Così come è “chiuso” il ristorante della struggente tela Restaurant am Hof del 1919, dove le persiane sono serrate e non compare nessun avventore.
La Guerra è appena conclusa. A Milano nel dicembre 1922 Sironi fonda, con Bucci, Dudreville, Oppi, Malerba, Funi e Marussig il Gruppo Novecento, che si presenta per la prima volta nel marzo del 1923 alla galleria di Lino Pesaro situata al piano terra del palazzo Poldi-Pezzoli. Animato da Margherita Sarfatti, il movimento aspira a una moderna classicità, pensata e operata in una sintesi radicale. Pur esponendo comunque sempre a Monaco sull’onda della nuova Secessione, Erma è ora nella città giusta per trovare ispirazioni sulla scia della nuova avanguardia artistica.
Nel maggio 1925, la rivista «Lidel» (acronimo delle iniziali delle parole Letture, Illustrazioni, Disegni, Eleganze, Lavoro), fondata nel 1919 e molto attenta a mondanità e arti femminili, le dedica un articolo, corredato da tre illustrazioni di suoi quadri, in occasione di una personale, allestita nella Saletta della redazione: ora le sue tele “unendo la grazia alla vigoria sono del tutto conformi alla tradizione pittorica italiana” 3.
Le opere di Erma Bossi sono presenti alle due storiche Mostre del Novecento Italiano al Palazzo della Permanente di Milano: quella del 1926 e quella del 1929. Alla Mostra del 1926, dove erano presenti tutte le figure artistiche più importanti del panorama italiano, Mussolini pronunciò il discorso inaugurale il 15 febbraio ponendo l’accento sulla stretta vicinanza tra politica e arte. Ed è proprio un dipinto di Bossi, e cioè Paesaggio – La Martesana, una delle cinque opere che illustrano l’avvenimento nell’articolo del «Secolo Illustrato» intitolato L’arte italiana del 900 inaugurata da Mussolini alla Permanente di Milano 4.
Del 1926 è Greco, un placido, quasi spento, olio (ora conservato al Civico Museo Revoltella di Trieste). Erma Bossi si sente sempre all’avanguardia, di fatto è all’avanguardia, ma la corrente ”avanguardista” si allinea con il regime e, pertanto, anche lo stile pittorico si adegua al clima di “ritorno all’ordine”. Ordinato è il tratto, perduto il colore acceso. Quale differenza dallo stile di quindici anni prima! Erma è ancora una volta alla ricerca di purezza delle forme e di armonia nella composizione, ma l’effetto non è più prorompente e i suoi dipinti non emozionano. Pur se la sua pittura “pel segno energico e inciso, pel forte e largo pennelleggiare, per l’ampio costrutto, si direbbe virile” (come si dirà nel 1938 su di un quotidiano milanese), non si ritrova più in questi olii la primitiva forza espressiva.
Nell’autunno del 1927 fa ritorno a Trieste: espone quell’anno alla I Esposizione del Sindacato delle Belle Arti e del Circolo Artistico e, poi, l’anno seguente alla II Esposizione del Sindacato Fascista Regionale delle Belle Arti e del Circolo Artistico di Trieste. Esporrà ancora nel 1929 e nel 1932. Erma gode a Trieste di privilegi che, per esempio, l’amico Wostry non ha: per non avere aderito al sindacato fascista, egli è assente dalle esposizioni ed emarginato nella propria città.
Nel 1930, a Milano, in via Vivaio, il pittore triestino Pietro Marussig si unisce allo scultore Tino Bortolotti, il quale con Achille Funi aveva da poco fondato la Scuola d’arte aperta a tutti per l’insegnamento del mestiere mediante la ripresa della pratica di bottega. Erma, pur già famosa, ne diventa allieva. In quegli anni frequenta l’atelier di Funi anche la giovane nipote di Margherita Sarfatti, Paola Consolo. Ed è sempre nel 1930 che Erma Bossi espone una Natura morta al padiglione italiano della XVII Esposizione Biennale internazionale d’arte di Venezia, dove ampio spazio è dato ai Futuristi e dove Appels d’Italie è un confronto con gli artisti residenti nella capitale francese. Ancora una volta, Erma è tra i grandi della pittura contemporanea. Questa volta però non in Germania, ma in Italia.
Non ci stupisce poi ritrovare Erma a Milano nel 1933 dove organizza un’altra personale alla galleria Tre Arti insieme a Giampaola Litta Modignani e a Jetta Bisi Pozzi (nella stessa galleria esporrà, poco dopo, Ottone Rosai). Sempre nel 1933, e sempre a Milano, espone alla galleria Il Milione (nella stessa galleria esporrà, poco dopo, Atanasio Soldati). Di questi anni è Giovane in costume spagnolo (1930-35).
Negli anni in cui si sostiene la necessità dell’inquadramento degli artisti all’interno di un sindacato, ritenendo l’interessamento e la partecipazione strumenti di ispirazione artistica utili ad una produzione consapevole, si apre a Firenze nel 1933 la Prima Mostra Sindacale su base nazionale. Erma Bossi vi partecipa con Natura morta.
Nel 1935 è invitata alla Mostra celebrativa per i Quarant’anni della Biennale di Venezia inaugurata il 25 maggio, anno XIII dell’era fascista. La mostra è dedicata all’arte veneta come omaggio verso la città, per dimostrare il valore e l’apporto fondamentale dato dagli artisti veneti all’esposizione internazionale. È ancora una consacrazione che per certo Erma attendeva. L’opera è intitolata Funghi.
A fine novembre del 1938, la galleria Gian Ferrari di Milano, dopo aver allestito una mostra d’arte austriaca con opere di Oskar Kokoschka e di Alfred Kubin, presenta una personale di Bossi. Dal «Corriere della Sera» del 24 novembre apprendiamo che si tratta per lo più di paesaggi a olio, acquerello, guazzo: tra questi si segnala Valsolda. Sono quadri caratterizzati dalla “ricerca di sobri accordi tonali”; si plaude allo scampato pericolo: “il surrealismo, con i suoi molti pericoli, è vittoriosamente superato” (da Le mostre a Milano, «Popolo d’Italia», 24 novembre 1938).
In Lombardia, Erma Bossi esporrà per dieci anni (dal 1929 al 1939) alle mostre d’arte del Sindacato Regionale Fascista delle Belle Arti e, se pur saltuariamente, dal 1931 al 1941, alle mostre del Sindacato Provinciale. Proprio quest’ultima, al Palazzo della Permanente di Milano, è anche il “contributo degli artisti milanesi ai camerati alle armi”, andati in guerra il 10 giugno. Erma Bossi vi presenta Periferia di Milano. Inoltre, nel 1939, è al Premio Bergamo.
All’apice del successo, Erma Bossi sparisce. La ritroviamo, poverissima, dieci anni dopo, sempre a Milano, all’ultimo piano di uno stabile in piazzetta Sant’Erasmo.
Nel 1952 muore all’istituto assistenziale cattolico di Cesano Boscone, a settantasette anni e, l’anno seguente, la famiglia decide di donare al Museo Revoltella il ritratto che Wostry le aveva fatto da ragazza e che Erma aveva gelosamente conservato per tutta la vita: Erminia torna a Trieste.
Ritratto di Erma Bossi, 1902, Museo Revoltella, Trieste. ^
Kandinsky e Erma Bossi a tavola nella casa di Murnau, 1909, Städtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco. ^
Lidel, VII, 1925, 5, p. 39. ^
XV, 1926, 8, p. 5. ^
Fonte: enciclopedia delle donne