Elisabeth Vigée Lebrun


Parigi 1755 – Louveciennes 1842
Elisabeth Louise Vigée eredita la passione artistica dal padre Louis, apprezzato pastellista che muore quando lei è ancora adolescente. La sua formazione comprende lezioni di paesaggio ricevute da Joseph Vernet e una fase di apprendistato presso Jean Baptiste Greuze, ritrattista i cui toni sentimentali influenzano l’allieva. Il talento di Elisabeth si manifesta già intorno ai quindici anni, fruttandole diverse commissioni. Grazie alla propria arte la giovane contribuisce al bilancio familiare e frequenta il bel mondo, conquistandosi con grazia e spirito il favore di diverse grandi dame, tra le quali la duchessa di Chartres. Queste presentazioni la introducono a Corte presso Maria Antonietta d’Asburgo, consorte del Re di Francia.
Nel 1775 Elisabeth sposa Jean-Baptiste-Pierre Le Brun, mercante d’arte intraprendente e sregolato. Oltre a essere proprietario di una notevole collezione d’arte, che fornisce alla giovane pittrice il modo di esercitarsi nella copia dalle opere antiche, egli si prende cura dell’attività della moglie; ma sono soprattutto il fascino e il garbo di Elisabeth a conquistarle la benevolenza della regina, che sarà la sua committente più sollecita fino allo scoppio della Rivoluzione Francese: a quel punto la pittrice si rifugerà all’estero per dodici anni con la figlia, mentre il marito dilapiderà in patria tutti i loro beni.
L’epoca di Maria Antonietta verrà ricordata da Elisabeth, anche negli anni dell’esilio, come un periodo assai favorevole per le donne. Elisabeth Vigée Lebrun tiene a casa propria un cenacolo vivace, venendo a sua volta invitata da donne di spirito come M.me du Barry o M.me de Staël. Questa consuetudine prosegue la tradizione dei salotti letterari; in essi, già da oltre un secolo, donne di particolare vivacità o prestigio avevano acquistato visibilità e costruito relazioni significative.
I salotti settecenteschi, in particolare, diventano scuola di pensiero e talora giungono ad individuare alcune linee di genealogia femminile, assumendo come riferimento simbolico le donne più famose del passato. Nei salotti si dibatte anche di costume e buone maniere; le dame auspicano addirittura una riforma del linguaggio parlato e scritto, con l’obiettivo di conformarlo a modi gentili, arguti e civili.
Dal punto di vista politico Elisabeth Vigée Lebrun è una donna schierata: grazie al proprio talento perviene ad una situazione di privilegio, frequentando sovrani e cerchie esclusive. In sintonia con la sua regina, concepisce l’esistenza secondo una visione idealizzata rispetto alla realtà quotidiana.
Il lavoro di Elisabeth, magnifica ritrattista, è ricercato ovunque e le fonti la dicono infaticabile. Ammessa nell’Accademia grazie alla protezione della regina, nel proporsi è costretta comunque – come del resto accade anche all’altra concorrente Adelaide Labille Guiard – ad accreditare il proprio lavoro: mentre è sufficiente che gli altri artisti, per essere ammessi, presentino una scelta di opere attraverso un buon referente, alle due pittrici viene chiesto di lavorare di fronte a dei testimoni, in quanto non si crede al fatto che le opere consegnate siano proprio create da donne.
Ma nei secoli la produzione di Elisabeth Vigée ha una sorte migliore rispetto a quella della pur famosa collega, di cui rimangono pochissime testimonianze; fortunatamente l’opera di Vigée ci è giunta in gran parte. Ciò si deve anche ai suoi scritti che hanno permesso, contenendo precise informazioni su ogni lavoro, il riconoscimento e la conservazione di quasi tutte le opere. Tra queste spicca l’alto numero di autoritratti, che rimandano l’immagine di una donna consapevole di sè e della propria raffinata bellezza.
Molti critici oggi rimproverano a Vigée un’eccessiva concentrazione su se stessa, eppure è proprio questa che ha salvato la sua opera dalla dispersione. Elisabeth lascia un diario nel quale cataloga e commenta almeno novecento opere; la prosa elementare ed imperfetta svela quale istruzione di base, nel Settecento, sia riservata ad una donna di categoria non certo infima; tuttavia il testo ricostruisce un intero clima culturale e permette di seguire la formazione artistica ed intellettuale della pittrice. Di lei resta anche un altro scritto, ancora più prezioso dal punto di vista pedagogico: una sorta di vademecum destinato a una nipote, ricco di suggerimenti volti ad orientarla nel mondo dell’arte. (Elisabeth Vigée-Lebrun, Conseils pour la peinture du portrait, 1869, in Anne Lafont (dir.), Plumes et Pinceaux. Discours de femmes sur l’art en Europe (1750-1850) — Anthologie, Dijon, Presses du reel/INHA (Sources), 2012)
Sotto l’aspetto stilistico Elisabeth individua diversi modelli che assimila e rielabora: Raffaello per la resa degli affetti, la scuola fiamminga per le proporzioni, la varietà di toni delle allegorie, la brillantezza cromatica. La pittrice impara da Rubens i modi in cui la luce si diffonde da fonti contraddittorie su superfici diverse, mentre eredita da Van Dick la precisione nell’esplorare le fisionomie e i dettagli.
I contemporanei di Elisabeth le tributano lodi, ma anche critiche in quantità; per esempio giudicano disonorevole il fatto che lei, essendo donna, descriva delle nudità. Essi si appellano allo stesso moralismo rintracciabile nelle trattatistica del tempo, che invita le artiste a dedicarsi al settore decorativo più che allo studio dal vero. Ma Vigée non rinuncia al tema del nudo e sostituisce la conoscenza della scienza anatomica con l’osservazione attenta dell’esterno del corpo. Anche la mancanza di studi prospettici è risolta attraverso l’intuizione, tramite la quale la pittrice rende efficacemente lo spazio. Quanto alle strutture compositive, l’artista le apprende autonomamente dai maestri del passato e ne inventa a sua volta di insolite e complesse.
Nel 1783 la corte critica nuovamente la pittrice perché ritrae Maria Antonietta in vesti ritenute dai conservatori troppo disadorne. Effettivamente Elisabeth Vigée dimostra sempre di preferire un approccio naturale alle cose. Questa scelta, apprezzata dalla sua regale committente, la induce a modificare le pose del ritratto tradizionale per cogliere la vivacità dell’istante. Anche negli autoritratti con la figlia, per esempio, la pittrice non si raffigura più come una madre seria e compunta, ma aderisce ad un modello più espansivo che in passato. Lo stesso abbigliamento di Vigée è sempre molto libero e morbido: le sue vesti bianche di linea classicheggiante anticipano lo stile impero; la sua acconciatura preferita evita le parrucche incipriate, proponendo riccioli vaporosi e raccolti fluidamente.
Qualcuno oggi rimprovera ad Elisabeth una lucentezza degli incarnati eccessiva ed innaturale, le pose leziose. Spesso la si accusa di trasmettere una visione edulcorata della realtà, fatta di figure eleganti, di panneggi setosi e di toni troppo morbidi, effetti di cui questa pittrice ha una padronanza virtuosistica. Generalmente nella sua produzione si preferiscono i ritratti maschili, che mostrano un piglio discretamente energico apprezzato perfino da J. L. David. Ma nella pittrice lo stile aggraziato prevale per motivi legati alla sua visione del mondo, tesa ad una società meno aggressiva e brutale di quella reale; la bella forma per Elisabeth esprime un mondo di relazioni basate sul garbo e sulla naturalezza, sull’arguzia degli spiriti più nobili. Si tratta di ideali discussi e formulati all’interno dei salotti letterari, vere fucine del cambiamento sociale interpretato dall’intelletto femminile: Elisabeth Vigée fornisce una sorta di argomentazione per immagini di questo modello di vita.
DI Lidia Piras- fonte: https://www.enciclopediadelledonne.it/edd.nsf/biografie/elisabeth-vigee-lebrun/