AGI – Il 12 giugno si apriranno le urne per le elezioni amministrative, ma si apriranno anche le danze di fine legislatura che porteranno alle elezioni politiche della prossima primavera. Otto milioni di italiani saranno chiamati a eleggere il sindaco di 982 comuni, ma in realtà tutto l’elettorato potrà votare anche per i cinque referendum sulla giustizia promossi dai radicali e sostenuti dalla Lega. Il 26 giugno ci saranno poi i ballottaggi per le amministrative.
Un super-test per tastare il polso alla partecipazione al voto degli italiani, agli schieramenti politici, ai singoli partiti e ai loro leader a pochi mesi dalla fine di una legislatura complicata che arriva a scadenza naturale nella primavera prossima, salvo sorprese in autunno che alcuni osservatori già ipotizzano.
L’impatto della pandemia ha lasciato il posto all’impatto dell’invasione russa in Ucraina, nell’immaginario collettivo, mentre famiglie e imprese sentono il peso del costo dell’energia, tema concretissimo che nasce dai grandi equilibri geopolitici e arriva in uffici, fabbriche e case di ogni italiano con tanto di forniture a rilento, termosifoni accesi o spenti, bollette da pagare.
Sullo sfondo, ma solo per una illusione ottica, il Pnrr che ha visto l’impegno serrato del governo Draghi, un esecutivo di larghe intese che da alcuni mesi, e a maggior ragione per i prossimi, vede le forze che lo sostengono correre su fronti contrapposti.
Non solo un test per i territori
Altri 24 miliardi dovrebbero arrivare se entro il 30 giugno saranno rispettati i 45 obiettivi posti da Bruxelles, ma l’iter dei provvedimenti e’ spesso frenato dal braccio di ferro tra i partiti e spesso l’unica soluzione in mano al governo per rispettare i tempi serrati imposti dal Piano è porre la questione di fiducia. Senza dimenticare che le previsioni di un forte aumento del Pil vengono via via ridimensionate dalle ricadute economiche del conflitto ucraino.
L’election day del 12 giugno dunque servirà a eleggere i sindaci di quasi mille comuni, 26 capoluoghi di provincia e 4 capoluoghi di regione, a misurare se i referendum raggiungeranno il quorum necessario e nel caso a valutare le decisioni degli italiani sui cinque quesiti sulla giustizia. Ma soprattutto misureranno i rapporti di forza tra gli schieramenti e i partiti a pochi mesi dalla prova fondamentale delle prossime elezioni politiche.
Gli schieramenti lavorano su strategie e alleanze
Il centrodestra, che sconta ancora le frizioni nate durante l’elezione del presidente della Repubblica, si presenta compatto in quasi tutti i comuni (eccezion fatta nei capoluoghi di provincia per Viterbo, Parma, Catanzaro e Verona) ma sconta una divaricazione sul tema del conflitto in Ucraina.
Senza contare che, pur avendo posizioni simili sulle sanzioni alla Russia, sul tema delle amministrative è arrivato alla chiusura delle liste senza che si sia tenuto un vertice tra i leader nazionali ma solo con accordi tra dirigenti locali. L’asticella per il centrodestra, con un latente derby FdI-Lega, è alta perché la coalizione controlla 18 su 26 giunte uscenti nei capoluoghi di Provincia chiamati al voto (3 sindaci della Lega, 3 di Fratelli d’Italia, 6 di Forza Italia, 4 indipendenti di centrodestra, uno di Coraggio Italia e uno di Cambiamo).
Il Pd ha stretto ovunque un’alleanza con Articolo 1-Mdp, e continua a guardare ad un rapporto con il M5s con il quale ha stretto un accordo per la maggior parte dei comuni. Ma le divaricazioni sulla guerra sono state profonde e nei due partiti i dubbi su una alleanza di lungo periodo non sono residuali. Il M5s poi si presenta in pochissimi comuni con un proprio simbolo e quindi vedrà necessariamente un risultato percentuale limitato se spalmato a livello nazionale.
Tra i due schieramenti ci sono poi le formazioni di centro, da Azione a Italia viva, che hanno alleanze a macchia di leopardo. Quando lunedì pomeriggio si sapranno i risultati (lo scrutinio delle amministrative si terrà dopo il conteggio delle schede del referendum i partiti potranno cominciare i loro calcoli e ad affinare le strategie per gli ultimi mesi di legislatura. C’è chi ritiene che Draghi debba essere lasciato governare senza troppi intoppi, chi addirittura spera in una conclusione anticipata del suo mandato, con elezioni in autunno.
Un calcolo che non tiene conto del calendario istituzionale ben presente al Colle: entro fine ottobre va presentata la manovra alle Camere e a Bruxelles, entro il 31 dicembre il Parlamento deve varare la legge di bilancio, sempre entro fine anno sono da attuare altri 55 obiettivi del Pnrr.
Nelle more di certo i partiti valuteranno se mantenere o modificare la legge elettorale, sapendo che al prossimo giro, per la prima volta, invece di 945 seggi saranno in palio ‘solo’ 600 scranni tra Camera e Senato. E che l’obiettivo di una maggioranza assoluta e omogenea che dia stabilità al prossimo governo è una chimera che sfugge da ben due legislature.
Source: agi