di Rosanna La Malfa
Laurea in scienze politiche e corso biennale di cinematografia, sei un cameramen di documentari e pubblicità, sei anche uno scrittore: parlaci di te.
Ho avuto la fortuna e la possibilità di maturare molte esperienze, tutto nasce dal mio amore per le immagini e, soprattutto, per la luce. Ho iniziato da ragazzo con la fotografia, passavo intere giornate tra gli acidi a stampare. Poi nel 1981 ho partecipato a un corso di cinematografia di alto valore che ha avuto una grande importanza per la mia formazione culturale. Ho avuto l’occasione di conoscere molte persone di spessore, da Primo Levi, a Bertolucci, Wenders, Amelio, Fuller, Trintignant e tanti altri, e questa cosa ha sicuramente influito sulla mia formazione. Il passaggio dalle immagini alla parola è stato agevole perché la mia scrittura è estremamente visiva. Tendo a descrivere delle immagini che visualizzo in me. La scrittura rispetto ai film gode, inoltre, di un’estrema libertà, non ci sono budget da rispettare, chiudi gli occhi e puoi avere qualsiasi location o attore per le tue storie. Puoi spostarti indietro nei secoli o prendere un’astronave e catapultarti nel futuro.
Mi piace lanciarmi sempre in nuove storie, ne ho molte nel mio cassetto e sto lavorando su cose nuove che mi stanno appassionando in maniera pervasiva.
Su Facebook sei goliardico. Schlegel diceva che: “Ironia è quello stato d’animo che sovrasta a tutto e che si solleva infinitamente su tutto ciò che è limitato: perfino sulla propria arte, virtù o genialità“. Che ne pensi?
Sui social è necessario essere sintetici, pochi ti leggono dopo il terzo periodo, quindi la battuta funziona. E’ un sistema di comunicazione che ti può consentire una grandissima platea di lettori, ma questo contatto è poco duraturo. Mi è capitato che qualche mia battuta abbia registrato un paio di milioni di “contatti”, ma di tutto questo, cosa rimane? Siamo in un periodo in cui tutto scorre troppo velocemente e bisognerebbe sedersi un po’ e riflettere. Prendersi del tempo. Ho avuto diversi premi per battute, sono stato citato da giornali, radio e televisioni, ma credo che un processo di elaborazione di un pensiero necessiti di approfondimenti, tempi e spazi maggiori, per questo amo scrivere storie.
La satira, comunque è incisiva e, se fatta bene, tende a scardinare i luoghi comuni. Ridere di qualcosa vuol dire cercare di esorcizzare, togliere forza. Un comico, dopo Katrina, l’uragano che devastò New Orleans, disse che sentì che la città si stava risollevando quando riuscì a fare battute su quel disastro. Per questo, nelle mie storie lo stile è sempre molto ironico, a volte tagliente, ma di sicuro sempre appassionato. Cerco di trovare il lato grottesco delle cose, non per niente uno dei registi che amo di più è Fellini.
Ti è mai venuto il blocco dello scrittore? Chi o cosa ti dà l’ispirazione?
Ho costantemente il blocco, per fortuna. Credo che scrivere senza incertezze, senza intoppi ti porti solo verso strade già battute. Solo le crisi aprono le nuove porte. La parola crisi viene la greco “krino”, che significa: separo, scelgo. Devi trovarti davanti a un bivio per cambiare il percorso e tracciarne uno nuovo. E allora, cosa faccio? Penso, sento musica, faccio due passi, poi scrivo cercando di andare avanti in maniera istintiva, automatica, quasi compulsiva, lasciando scorrere le parole sulla tastiera, cercando un ritmo fisico nella battitura, pestare sui tasti come fosse una piccola batteria, poi la via ti si apre davanti da sola.
Qual è il tuo pubblico perfetto? Scrivi per Te o per chi ti leggerà?
Il mio pubblico preferito è quello che di volta in volta decide di darmi fiducia e intraprendere un’avventura con me. I libri che ho fino a ora scritto sono molto diversi uno dall’altro, ma in genere vedo che chi mi legge mantiene la curiosità di seguirmi. Il primo, “Gli incantatori di fotoni”, era una raccolta di racconti ambientati nel mondo del cinema. “Il cinema ve lo imparo io” era una raccolta di recensioni di film, ovviamente molto ironiche fatte da un latitante mafioso. Un libro credo molto divertente, ma al tempo stesso corrosivo e senza sconti per nessuno. L’ultimo mio libro di narrativa si intitola “No hurricane” ed era ambientato a New Orleans, una storia intimistica sul perdersi e sul ritrovarsi. Da come si può intuire, dalla varietà delle mie cose, scrivo per me. Intraprendo sempre progetti diversi che per me sono delle vere e proprie avventure. Deve esserci un’idea di una storia che credo meriti di essere scritta, altrimenti preferisco aspettare.
Fuster diceva: “Per difenderci dalle prevaricazioni del bene e del male abbiamo una sola arma: l’ironia“. Guardando il panorama odierno, è ancora così?
Diciamo che questa riportata è un’affermazione ironica. Di armi ce ne rimangono tante, per fortuna, oltre all’ironia. Forse le più importanti sono la conoscenza e il cercare di divulgarla. Il fenomeno che forse caratterizza di più questo periodo è il “credere di conoscere”. C’è una grandissima quantità di notizie in rete, ma mancano i filtri. Non tutto quello che viene pubblicato in rete ha un valore e spesso è il contrario. Bisogna allora avere un discernimento e capire ciò che è vero o meno. Premesso ciò, l’ironia ha la grande forza di smontare i potenti e le cose sbagliate. Per poterla usare, però, bisogna cercare in noi stessi una semplicità perduta. Non per niente è un bambino a dire “Il re è nudo!” Dileggiarsi dei potenti, cosa c’è di più nobile?
Scopro anche che hai pubblicato libri fotografici e scritto commedie. L’arte è parte integrante della tua vita. Che significa Cultura per te?
Per me la cultura è il patrimonio di esperienze intellettuali di una persona o di un popolo. Senza dubbio l’arte è parte essenziale della mia vita, sono particolarmente legato al cinema, alla scrittura e alla fotografia. Nutro anche un grande amore per la pittura, che però non pratico in maniera attiva, cosa che mi accade anche per la musica. Quest’ultima è essenziale, però per i miei libri. Quando scrivo ho la necessità di sentire musica che mi crei un’empatia con lo scritto. Per esempio per “No hurricane” ascoltavo Big time e Rain dogs di Tom Waits.
Ogni cosa che ho fatto mi ha lasciato e lascia una traccia. Il cinema, con i suoi grandi set dalle dinamiche complesse a volte insondabili della troupe, la radio con il mistero di non visualizzare a chi arrivi la tua voce, la televisione, l’elettrodomestico che è diventato “Hal” di 2001 odissea nello spazio trasformandosi da servo a padrone, e il teatro con l’impatto diretto del pubblico. Ogni cosa mi rimane dentro.
Salutiamoci con un messaggio sorridente e positivo. A te la chiosa.
Non c’è nulla di più serio del cercare di strappare un sorriso.