E noi occidentali, quali valori difendiamo? La domanda non banale di Malraux


Riccardo Canaletti

André Malraux è indubbiamente, come altri hanno detto, uno scrittore ideologico nell’accezione che può avere l’immagine, anzi il concetto, di un autore in grado di strappare l’ideologo all’asfittico mondo della propaganda, dell’intelligenza meccanica applicata alla presa del potere. Tuttavia, se il potere – come sostenuto da Bernard-henri Lévy ne La barbarie dal volto umano – è non solo ineliminabile ma connaturato all’esistenza stessa della società civile, allora persino lo scrittore, in quanto soggetto politico, dovrà ricorrere allo strumento moderno dei potenti, il discorso pubblico. In Occiden
tali quali valori difendete? (De Piante) si raccolgono alcuni esempi virtuosi di uno scrittore guerriero, fissato con la sua epoca al punto da rendere l’antifascismo un motivo di comunione, per quanto aporetico, tra liberalismo e comunismo. Se un’opera d’arte “è un oggetto, ma anche un appuntamento con il tempo”, come sostenuto al Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura a Parigi il 21-25 luglio 1935, Malraux è uno scrittore che non ha mai mancato un appuntamento con il suo tempo, tanto da farci credere abbia plasmato – è questa la più grande opera? – il suo presente.
Cosa significa aver letto il pensiero politico antifascista con occhio umanistico? Significa voler difendere l’uomo invece dell’individuo, la moltitudine (un termine che verrà ribaltato di lì a poco trasformandosi in una perversione violenta, soprattutto in Italia) invece della borghesia. E, per Malraux, il socialismo invece del capitalismo, che egli ravvede, forse con miopia storiografica, nel fascismo e nella sua struttura gerarchica, dove l’uguaglianza vige esclusivamente nel contesto militare. In effetti, con diabolica coerenza, il fascismo e il nazismo si fondano sull’idea di nazione, entità antitetica all’uomo, a cui si oppongono “l’italiano” e “il Germano” (Londra, 21 giugno 1936). Se la forza stessa della giustizia ha qualche peso anche laddove viene sepolta dal fascismo, cioè nell’uguaglianza militaresca, inevitabilmente la società tenderà alla militarizzazione in nome della giustizia e, con essa, a cercare battaglia con il nemico: cioè l’uomo stesso. Così si manifesta la differenza irriducibile tra fascismo e liberalismo o comunismo: “Ora, il nemico di un soldato è un altro soldato, ossia l’uomo. Mentre, dal liberalismo al comunismo, l’avversario dell’uomo non è l’uomo ma la terra. E’ nella lotta contro la terra, nell’esaltazione della conquista delle cose a opera dell’uomo che si stabilisce, da ‘Robinson Crusoe’ al cinema sovietico, una delle più solide tradizioni dell’occidente”.
In questo senso il fascismo si presenta come fenomeno antioccidentale? Sembra di sì. Così come il nazismo che deportò le “puttane francesi” dando per la prima volta “lezioni all’inferno” (Chartres, 10 maggio 1975): “C’è qualcosa di enigmatico e terrificante nella volontà di disumanizzazione dell’essere umano, come nelle piovre, come nei mostri”. Torna la disumanizzazione, la vittoria del non uomo (C. S. Lewis, non a caso, farà combattere questa figura contro l’unico uomo – alfiere del bene – su Perelandra). Malraux definisce il male nazista “assoluto”. Oggi l’antioccidentalismo preme in Medio oriente e c’è chi ha definito l’attacco del 7 ottobre “male assoluto”. Potremmo chiamarlo “fascista”? Ci si chiede, così, non tanto quali valori l’occidente stia difendendo, ma quali valori l’occidente debba reinventare in nome dell’antifascismo, riuscendo a problematizzare il potere, pure ineliminabile, quando si manifesta come revanscismo imperiale e, nichilistamente, antiumano.

Fonte: Il Foglio