Il duello è fissato. Non all’alba, come nei romanzi di cappa e spada, ma in prima serata su Rai 1, nello studio di Porta a Porta. La data è fissata per il 23 maggio, in virtù di un incrocio di agende fra le due leader, due settimane prima del voto per le europee, una prima delle manifestazioni di piazza annunciate da Giorgia Meloni ed Elly Schlein a Roma, rispettivamente il 1 e il 2 giugno. Il terreno della sfida è stato uno dei nodi affrontati durante le riunioni fra i rispettivi staff. Schlein e i suoi avrebbero preferito una soluzione diversa, su terreno ‘neutro’, magari La7. Così, spiegano invece dal Pd, è come giocare fuori casa. La risposta arrivata da Fratelli d’Italia è stata che la presidente del Consiglio non può ignorare il servizio pubblico per confrontarsi su una rete privata. E i dem non hanno fatto le barricate. La stessa Elly Schlein, già durante il forum europeo Pd agli Studios della Tiburtina, il 16 dicembre, aveva fatto sapere: “Dove e quando vogliono”.
L’altro nodo riguarda le ‘regole di ingaggio’, tema che sarà affrontato già nelle prossime ore in una riunione di staff ad hoc, riferiscono fonti dem. La scelta della rete ammiraglia della Rai, tuttavia, solleva il tema della par condicio, con tutti i pali e i paletti che ne conseguono. Il titolare del salotto, Bruno Vespa, si è trovato ad affrontare il problema già un anno e mezzo fa, quando si candidò a ospitare il duello fra Giorgia Meloni ed Enrico Letta, prima delle elezioni politiche. Il duello si tenne sul web, ospitato dal sito del Corriere della Sera. L’ostacolo, viene spiegato, si potrebbe aggirare ospitando altri confronti fra esponenti politici, candidati o leader.
Intanto la segretaria del Pd oggi riunisce la direzione per varare la base programmatica per le europee. Un programma ormai noto, che vede nella battaglia per il lavoro – con i temi del salario minimo, della lotta al precariato e del contrasto agli incidenti sul lavoro – e per la sanità pubblica i pilastri attorno ai quali ruotano tutti gli altri temi. Dalla scuola al diritto all’abitare, passando per la transizione ecologica e la questione energetica. A questo si aggiunge la battaglia contro il premierato, entrata prepotentemente nell’agenda di Schlein, tanto che la segretaria dedica a questa e alla Costituzione l’evento del 2 giugno a Roma.
Il duello con Giorgia Meloni, da questo punto di vista, viene visto fra i dem come un trampolino che può proiettare il partito oltre la soglia psicologica del 20%. Schlein ha sottolineato che non è sua intenzione usare il confronto per polarizzare la sfida. Anzi: ai suoi ribadisce che “si tratta di un momento di chiarezza e trasparenza per milioni di persone che, dopo un anno e mezzo di governo Meloni, non stanno certo meglio”, riferiscono fonti Pd. Fatto sta che il duello potrebbe rappresentare un valore aggiunto in termini di consenso alle elezioni europee. “L’asticella porta iella”, va ripetendo da un po’ di tempo Schlein a chi le chiede qual è la soglia che divide il successo dall’insuccesso del Pd alle elezioni. Tuttavia, fra i dem si registra una certa sicurezza nel raggiungimento del 20 per cento, con la possibilità di arrivare al 21 o 22 per cento. La segretaria rivendica di aver fatto recuperare al suo partito sei punti percentuali di consenso da quando è al timone della barca. Ovvero dal momento più basso per i dem, dopo la sconfitta alle politiche e l’addio di Enrico Letta, con il Pd che faceva registrare tra il 14 e il 15 per cento nei sondaggi. Un risultato al di sopra della soglia del 20 per cento garantirebbe a Schlein una navigazione più serena.
Comunque vadano le europee, c’è chi intravede all’orizzonte la possibilità che si realizzi presto una sorta di diarchia nel Pd. Dopo il voto, è il ragionamento, l’attuale presidente del partito, Stefano Bonaccini, potrebbe assumere il ruolo di capodelegazione a Strasburgo. In questo modo, l’ala riformista si troverebbe ben rappresentata numericamente all’Europarlamento e guiderebbe la delegazione con il proprio esponente di riferimento. Tutt’altro che un dettaglio, visto che sono proprio i temi europei e di politica estera, e in particolare l’invio di armi all’Ucraina, a mettere alla prova la tenuta interna del partito. A quel punto, con Bonaccini strutturalemtne in Europa, si libererebbe la poltrona del presidente del partito. Tra i nomi che si fanno fra gli esponenti Pd c’è quello di Paolo Gentiloni, commissario agli Affari Economici uscente. In ogni caso, spiega un parlamentare Pd, si tratterebbe di un ‘peso massimo’ del partito, tale da configurare una sorta di ‘diarchia’ nella guida del Pd.
Che ci sia all’orizzonte un riassetto generale del partito a cominciare dall’estate è una ipotesi suffragta anche dal fatto che tanti esponenti di primo piano sembrano prepararsi a traslocare da Roma. Bonaccini è uno di questi, ma c’è anche Nicola Zingaretti e, con l’esplosione del caso Liguria, si parla anche di una probabile candidatura di Andrea Orlando alle regionali. L’ex ministro è molto attivo nella sua regione, ben prima dell’arresto di Giovanni Toti. Un attivismo che, a chi glielo chiede, giustifica con la necessità di rafforzare il partito ligure e genovese e con la costruzione di un fronte più largo e partecipato possibile per il riscatto della Liguria. Non sembra, insomma, scalpitare per essere candidato nella regione, ma se il partito glielo chiedesse non si tirerebbe indietro. A questo si aggiungono i malumori registrati negli ultimi tempi in altre aree del partito, non esclusi pezzi di maggioranza. A partire dal caso del nome della segretaria nel logo per le europee, passando per la firma di Schlein in calce alla proposta referendaria contro il Jobs Act. (AGI)
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