Draghi e gli eurobond, i perché di un’uscita intempestiva


Uscire con la proposta di accelerazione sugli eurobond nel pieno di un Consiglio europeo dedicato pressoché unicamente alla vera priorità, quelladei vaccini, equivale infatti ad ammettere che il Re è nudo

di Antonino Gulisano

Preoccupazione e perplessità ha suscitato la proposta di Mario Draghi, durante i lavori di un Consiglio europeo dedicato esclusivamente alla priorità vaccini, di accelerare sugli eurobond.

Perché un’uscita così irrituale, quando la principale preoccupazione è la campagna vaccinale? Sono i dati a parlare. Quelli del credito a famiglie e imprese, negativo in Italia e Spagna e in pieno boom nel Nord Europa. Cosa si cela, davvero, nella spinta agli eurobond?

La situazione deve essere davvero seria, se un uomo dell’esperienza di Mario Draghi incappa in un errore di comunicazione simile. Uscire con la proposta di accelerazione sugli eurobond nel pieno di un Consiglio europeo dedicato pressoché unicamente alla vera priorità, quella dei vaccini, equivale infatti ad ammettere che il Re è nudo.

E se le opinioni pubbliche non si accorgono di queste scelte, i mercati le prezzano immediatamente. In effetti, i dati forniti dalla stessa Bce lasciano intravedere una possibile lettura dell’accaduto. Decisamente poco ottimistica per un Paese che, a livello di dibattito interno e di narrativa ufficiale, sembra invece lanciato come un centometrista verso somministrazioni vaccinali anche notturne e riaperture a tempo di record dopo Pasqua, al fine di non perdere quote di mercato nella corsa verso la ripresa.

Al centro delle preoccupazioni del premier ci sono i dati Bce dai quali si evince un vulnus esorbitante rispetto ai proclami di rivalsa macro post-Covid. Il dato della concessione di credito a famiglie e imprese nell’eurozona ha conosciuto una netta accelerazione nel mese di febbraio, stante anche l’aumento ormai senza più paragoni recenti della massa monetaria M3 in circolazione.

I prestiti alle aziende non finanziarie sono saliti del 7,1%, mentre quelli ai privati del 3% e anche i dati sui mutui hanno segnato un avanzamento significativo, +4,5% su base annua, mentre a registrare un saldo negativo sono state altre formule di credito al consumo, -2,8% su base annua. Paradossalmente, le due economie maggiormente beneficiare degli acquisti Bce e dei fondi di supporto Sure sono quelle che vedono più congelato il meccanismo di trasmissione del credito.

Difficile, al netto di ristori spesso ancora soltanto sulla carta e comunque con ammontare decisamente risibile rispetto alle perdite, sperare in una ripartenza a razzo, quando viene a mancare la liquidità alle imprese.

Insomma, paradossalmente l’uscita del primo ministro italiano appare come una sorta di grido disperato e preventivo rispetto a potenziali tentazioni di rilassamento nelle politiche di supporto, stante i numeri macro messi in campo da alcuni Paesi membri e dal dato relativo alla liquidità in eccesso e al credito bancario. Il terrore che giorno dopo giorno sta prendendo sempre più il sopravvento a Palazzo Chigi: quello di un fattore Trichet. Ovvero, la scelta di aumento dei tassi compiuta dall’allora governatore della Bce nel luglio 2008, proprio a fronte di un surriscaldamento delle dinamiche dei prezzi nell’eurozona. Due mesi dopo, però, esplose Lehman Brothers e lo scandalo subprime schiantò l’intero sistema: da allora, quando si vuole identificare un errore strategico in fatto di politica monetaria, si ricorre a questo precedente.

E le dinamiche sulla serie storica, parlano chiaro: a livello di pressione dei prezzi e nuovi ordinativi manifatturieri, il trend attuale sarebbe già consistente con un rialzo dei tassi. Il problema, però, sta appunto nella percezione. Perché come il mercato ha poco gradito l’uscita fuori contesto di Mario Draghi sugli eurobond, potrebbe cominciare a prezzare e fattorizzare un tapering del programma di acquisti come best case scenario, in caso il Covid perdesse potenza attraverso la campagna vaccinale e l’arrivo della bella stagione e quella liquidità in eccesso si tramutasse, magari, in investimenti in CapEx. E perché dovrebbe farlo proprio contro Italia e Spagna? Semplice, e a offrirne una conferma sono sempre i dati ufficiali della Bce. Se infatti tutta la stampa ha dedicato un titolo alla dichiarazione di Christine Lagarde rispetto al calo dello spread grazie all’arrivo del suo predecessore a Palazzo Chigi, quasi nessuno ha offerto altrettanto spazio al rovescio della medaglia di quel dato.

Ma un’eventuale chiusura di posizioni, in caso l’Italia venisse percepita come in ritardo sulla ripresa europea post-pandemia, invierebbe pesanti scossoni one-off sui nostri rendimenti, obbligando la Bce a un extra di intervento per evitare il contagio diretto su Spagna e Portogallo. Insomma, il classico incendio auto-alimentante.

Forse è meglio prevenire che curare.