Il patrimonio archeologico siciliano, di inestimabile valore, è un tesoro da custodire a “denti stretti”. Lo dimostra la storia (singolare e intrigante) di queste sculture
«Il mito è più vero della storia. Ciò che è storico è realmente accaduto una volta, ciò che è mitico accade realmente ogni giorno».
Le parole dello studioso Vito Mancuso insegnano a conoscere il mito nelle sue sfaccettature. Un esempio lungimirante è testimoniato dalla presenza delle Metope selinuntine.
La storia di queste sculture è abbastanza singolare e allo stesso tempo intrigante. Rinvenute nel 1823 dagli inglesi Harris e Angell, vennero ricomposte successivamente. Sono databili tra i primi decenni del VI secolo e la metà del V secolo a.C.
Si dividono in grandi (provenienti dal Tempio C, E ed F) e piccole Metope.
I rilievi selinuntini in tufo costituiscono un documento importante figlio dell’evoluzione della scultura in Occidente. Rispetto ai ritrovamenti effettuati dagli archeologi Salinas-Tusa, le Metope hanno una forma molto arcaica (primitiva).
L’ipotesi più remota è quella di un’arte siceliota all’interno dell’arte greca. Selinunte (colonia megarese) fu l’unica città greca di Sicilia che adornò i templi con sculture in pietra (appunto le metope). Questa particolarità ha incuriosito molti archeologi.
Gli stessi hanno provato a tracciare un percorso socio-storico della città di Selinunte (anche e oltre l’anno 409 a.C.) per ottenere delle risposte ai loro stessi quesiti.
Un passaggio “immancabile” ma senza ottenere un risultato soddisfacente. Rimane/rimarrà uno dei tanti misteri ancora irrisolti.
I capolavori (da molto tempo) si trovano esposti presso la “Sala Selinunte” del Museo Civico “Antonino Salinas” di Palermo.
Negli anni Ottanta – a Castelvetrano – alcuni storici provarono a rivendicare (in senso bonario) l’appartenenza delle Metope alla propria città.
In assenza di una possibile collocazione e in mancanza di un progetto definito, l’unica via percorribile fu quella attuale. Per afferrare il concetto di mito – nelle sue singole raffigurazioni – il visitatore, una volta entrato nell’area archeologica del museo, inizia a vagare nel mondo passato.
L’antico trasmette euforia, quasi eccitazione. “Li disegni in petra”, maestosi e affascinanti, trovano nella loro collocazione una simbiosi perfetta.
L’unione spazio-tempo è arricchita accuratamente da passaggi di luce intensi. Archeologia, simbolismo e realtà si completano a vicenda grazie a una serie di immagini mitologiche che ritraggono i vari Zeus, Hera, Eracle, Artemide e altre divinità greche del passato in azione.
Gli aspetti tecnici, complicati di per sé, lasciano spazio alla fantasia. Mettendo (per un attimo) da parte il percorso storico, molti ricorderanno il celebre cartone animato “C’era una volta… Pollon” dove i protagonisti erano le divinità in un contesto religioso politeista.
Quest’ultimo aspetto è una delle principali caratteristiche del mondo greco, da sempre fonte di ammirazione da parte degli esperti. Le leggende tramandate hanno ispirato poemi, realizzazioni cinematografiche e teatrali di notevole spessore.
Anche il singolo curioso, lontano dalle “marcate”” letture, entra in un circuito chiamato “viaggio a ritroso”. Catapultato indietro di almeno 2500 anni, la mente “si addolcisce” tra eros, colori, spensieratezza, battaglie, bellezza, eroi e mostri. Dura una manciata di secondi, attimi, un lasso di tempo che provoca brividi “divini”.
Il patrimonio archeologico siciliano, di inestimabile valore, è un tesoro da custodire a “denti stretti”. Le Metope sono figlie di un passaggio storico e culturale che ha lasciato tracce importanti nel territorio.
Tocca a noi, eredi designati, far conoscere al mondo siti, parchi e tradizioni siciliane.
Si Salvatore Di Chiara – fonte: https://www.balarm.it/