E’ ormai aperta la campagna per il ritorno al sistema elettorale proporzionale. Non ufficiale, ma per interposto opinionista, via pour-parler, per accenni e ballon d’essai. Bisogna riconoscere che i partiti sono a malpartito: deflagrate le coalizioni, si trovano tra le mani un sistema elettorale che era stato confezionato su misura per favorirne la costituzione e che è, perciò, inservibile per partiti-single. Lo avevano chiamato maggioritario. Ad esso danno la colpa dell’impasse attuale, per la quale, essendo incapaci, da un anno esatto, di mettere insieme un governo in grado di stare all’altezza delle tre emergenze ricordate da Mattarella, sono stati costretti a offrire il collo al giogo di Mattarella-Draghi fino al 2023.
Colpa del maggioritario? Se le coalizioni non reggono, la colpa non è del sistema elettorale, ma di chi fa alleanze poco congruenti, opportunistiche, finalizzate non al governo, ma al “vincere facile” le elezioni. Donde la rottura, dopo un anno, dell’alleanza M5S-Lega nel 2019, donde il fallimento dell’alleanza M5S-PD nel febbraio 2021. E’ facilissimo raccogliere voti promettendo la luna, perché c’è un sacco di gente credulona in giro; quando però si tratta di andarci, la “mission” lunare appare “impossible”.
Ma, comunque, il sistema sotto accusa non è maggioritario. Hanno chiamato maggioritario il Mattarellum, il Porcellum, il Rosatellum – un mix mutevole di proporzionale e di maggioritario – definendo pesce il pollo, con la trovata conventuale dell’“Ego te baptizo piscem!”. Nel Rosatellum, un terzo di deputati e senatori è eletto in collegi uninominali (un solo candidato per coalizione, il più votato è eletto), ma i restanti due terzi sono eletti con un sistema proporzionale di lista. Il maggioritario è un’altra cosa: tra i candidati in un Collegio, ne voti uno solo, in un turno o a due turni; nell’eventuale secondo turno si entra in competizione solo avendo superato uno sbarramento molto alto, per es. il 12,5%, come in Francia. In ogni caso, viene eletto uno solo. Chi perde, perde tutto, non porta i voti ottenuti in una cassaforte dei perdenti, dalla quale però, alla fine, vengono estratti proporzionalmente degli eletti.
Funzionò così il Mattarellum: il 75% maggioritario, però con recupero dei voti perdenti mediante “lo scorporo”, e il 25% di proporzionale. Non era stata questa la volontà popolare, espressa dal referendum del 1993, che prevedeva il maggioritario secco. Ma i partiti, soprattutto il PPI, temettero di essere spazzati via e, pertanto, il sistema partitico offrì loro un gommone di salvataggio: il Mattarellum.
Come si vede, il cosiddetto “maggioritario” conteneva già una talpa: quella dei partiti che volevano riprendersi il controllo del voto degli elettori. La talpa del 25% scavò bene! commenterebbe un illustre cittadino di Treviri, ed eccola rispuntare fuori dalla terra il 31 dicembre del 2005 sotto forma di un grosso… Porcellum, un nome un programma! Si tratta di un sistema proporzionale con liste bloccate. L’elettore, cioè, non può esprimere preferenze: i candidati vengono eletti secondo l’ordine di presentazione di partito, in base ai seggi ottenuti dalla singola lista. Sono previste soglie di sbarramento molto basse su base nazionale. Alla coalizione di liste (o alla lista non coalizzata) più votata, qualora non abbia già conseguito almeno 340 seggi, è attribuito un premio di maggioranza tale da farle raggiungere il numero di seggi in questione. Il Porcellum fu applicato nelle elezioni del 2006, 2008, 2013. Poi la Corte costituzionale uscì dal letargo e decise, con sentenza del 14 gennaio 2014, che alcune parti del Porcellum erano anticostituzionali. Nel frattempo venne presentato, ma poi ritirato, anche l’Italicum, causa sentenza della stessa Corte: perciò ci siamo ritrovati con il Rosatellum. E il maggioritario? Mai nato, né nella versione durissima a turno unico, inglese, né in quella più morbida a due turni, francese.
Una giustificazione brutalmente assai poco democratica dell’auspicato ritorno al sistema proporzionale viene avanzata da settori centristi e riformisti, liberal-democratici: che ci importa della governabilità, ciò che è primario è impedire ai bi-populisti di vincere le prossime elezioni e, last but not least, e permettere ai “centristi” di stare a galla oggi! Poiché i sondaggi assegnano costantemente la maggioranza alla somma dei voti dei tre pezzi del centro-destra (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia), il governo precipiterà nelle mani di Salvini-Meloni. Donde una serie prevedibile di disastri: rottura con l’Europa, alleanza con Putin, i soldi del PNRR a ramengo, debito pubblico alle stelle, troika sulla soglia, No-vax al Ministero della sanità, sparatorie contro i barconi…Il bi-populismo al potere!
Questa disastrologia, intanto, ha la memoria corta: dimentica i disastri già accaduti prima e dopo il 1993, tra i quali la nascita del bi-populismo stesso, provocati dall’impotenza della politica prima proporzionale e poi finto-maggioritaria. Quanto al futuro, una ripresa del proporzionalismo integrale moltiplicherà partitini e relativa impotenza, vacuità, conflittualità. E poiché siamo già sull’orlo di un vulcano – inflazione, costo dell’energia, tensioni e venti di guerra ai confini orientali… – il ricorso a Draghi nel 2023 è già alle porte. Ma fino a quando potrà durare l’emergenzialismo?
Il sistema elettorale più democratico, più stabilizzante, più “forte”? Quando l’elettore sceglie direttamente il rappresentante e sceglie il governo, in Collegio uninominale a due turni. Se il voto sceglie solo il rappresentante può limitarsi a esprimere testimonianza identitaria, protesta, rabbia. Ma se gli tocca scegliere anche il governo, allora si carica di responsabilità e di coscienza delle conseguenze sul piano personale. Un imprenditore del Nord può votare Salvini o Meloni, se vuole esprimere una protesta; difficile che voti Salvini/Meloni capi del governo, che vogliano uscire dall’Europa o impedire l’accesso degli immigrati in un sistema produttivo che ne ha sempre più necessità o aumentare la spesa pubblica, per favorire l’elettorato del Sud.
E’ stato consigliere comunale a Milano e consigliere regionale in Lombardia, responsabile scuola di Pci, Pds, Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola, membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi e del CdA dell’Indire. Ha collaborato con Tempi, il Riformista, il Foglio, l’ Avvenire, Sole 24 Ore. Scrive su Nuova secondaria ed è editorialista politico di www.santalessandro.org, settimanale on line della Diocesi di Bergamo.
Ha scritto “La caduta del vento leggero”, Guerini 2008, “La scuola è finita…forse”, Guerini 2009, “Scuola: rompere il muro fra aula e vita”, BQ 2016 ed ha curato “Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria?”, Guerini 2018.
Fonte: Liberta’ Eguale