di Angelo Pizzuto
Napoli velata e violenta
Scandagliando l’animo umano e l’ambiente che lo determina con forte realismo critico ma nessun naturalismo di maniera. Impeccabili la regia e gli interpreti. Unico film italiano in competizione al recente Festival di Cannes, “Nostalgia” raccoglie a oltre vent’anni di distanza il testimone di una staffetta socio-esistenziale iniziata con “L’amore molesto”, prima opera cinematografica di Mario Martone -se si esclude la sapiente ripresa filmica di “Rasoi”, incipit del successo internazionale dei Teatri Uniti.
Testimone tematico e (in senso ampio) “ruvidamente” poetico che si evidenzia quando Piergiorgio Favino, di ritorno a Napoli dopo lunga assenza, percorre via Foria, straniato dai sensi di colpa ed espiazione (a venire), esattamente come -nel film precedente- accadeva ad Anna Bonaiuto, anch’ella a disagio nell’ evocazione affettiva, in attesa della bizzarra madre ‘assente’ da una vita. Altra coincidenza- è lo stesso Martone che ce lo suggerisce- è data dalla suggestiva intersecazione musicale che, in entrambi i film, rimanda a un celebre brano di Steve Lacy (sedimentazione di un’atmosfera ‘di sospensione’ aleggiante e onnipresente). “La città non come dato geografico e sociale”, ma come ‘intossicato miscuglio’ di rimpianto e di fuga, appartenenza (viscerale) ed estraneità (senza rimedio).
Non male per gli struggimenti mentali e materiali che ne discendono- e dei quali ci è preclusa la soluzione “definitiva e appagante” (dell’assillante enigma), Il cui solo sintomo è un vago disadattamento o smarrimento nel ritrovarsi da estraneo-nativo dentro il ventre indecifrabile (un mondo a parte) della megalopoli insidiosa “ma dal fascino intatto e secolare”: nel suo mix di criminalità, indulgenze, indigenze, minima solidarietà e guerriglia per bande.
Tornato a Napoli dopo quarant’anni per riabbracciare l’anziana madre, Felice Losco (cognome o epiteto?) “viene irretito dai ricordi e dal richiamo delle proprie radici” (stando alle indicazioni di Ermanno Rea, dal cui romanzo il film è tratto). Il Rione Sanità come specchio plumbeo dell’anima? Dentro cui ritrovarsi anche a rischio di ‘perdersi’ e corporalmente svanire?. Non lo sapremo mai. O meglio, ciò che sapremo è solo la superficie – per il protagonista – di conti non sospesi (con il boss Oreste o’ Maluommo) e delle sue innovative, inimmaginabili affinità (con il parroco del quartiere)
Dalla somiglianza fra il quartiere e l’immenso dedalo di sensazioni, suoni, ricordi, paure che il protagonista si porta dentro dal lungo, volontario esilio in paesi, in Libano ed Egitto, potremmo tuttavia azzardare il significato recondito di questa “nostalgia” ad esito cruento. La cui radice rimanda all’ellenico “nostos” (sindrome di Ulisse) ed all’arcaico “nosocomio”: entrambe espressioni di malattie o patologie che nessuno ammetterebbe di coltivare con cura e ostinazione.
Tanto meno confessarlo ad altri.
Nostalgia Regia di Mario Martone. Sceneggiato con Ippolita Di Majo (dal romanzo di Ermanno Rea). Con Pierfrancesco Favino, Tommaso Ragno, Francesco Di Leva, Aurora Quattrocchi, Geolier Sofia Essaïdi, Salvatore Striano, Nello Mascia- Prod. Italia 2022.
Memento Moro
Marco Bellocchio, per una serie televisiva, torna da diversa prospettiva alle tematiche già affrontate con “Buongiorno notte”. Gli “anni di piombo” vissuti da chi a quel tempo gestiva il Potere. O si apprestava a farlo
Sarò fermo a Perrry Mason, al Maigret di Gino Cervi (o a quello, magnifico, di Bruno Cremer). Ma l’esperienza mi porta a dire che un episodio-televisivo può dirsi tale se dotato di senso compiuto. Più ambiguo, equivocabile il passaggio alle ‘serial’ che impongono fidelizzazione in cambio di video-poltrone (per sonnecchiare).
E dunque. Basteranno sei puntate sei per diluire (famelicamente? definitivamente?) gli intrighi, le ragioni recondite ed inconfessabili del rapimento Moro? Il suo “intrigo internazionale”? Non secondo le logiche della ricostruzione cronachistica – pare, ma “sfruttando la maggior libertà” offerta dalla durata filmico-seriale – che al momento imporrebbe, anzi impone, una sospensione di giudizio, avendo visionato solo due ore e tre quarti della maratona Rai, in onda da ottobre.
Servendosi con austerità dignitaria e meticoloso, pacatissimo “procedere” di ambientazione e costumi (che rimandano ai Palazzi del Potere frammisti di bassezze e solennità), “Esterno notte” procede (bene suggerisce Paolo Mereghetti) come una specie di “ipertesto” in cui ciascun episodio, coniugandosi al precedente consentirebbe di approfondire indole e personalità di ciascun personaggio (da Cossiga a Paolo VI, da Andreotti al Card. Casaroli) “in rapporto” ai legami o ai dissapori che lo “legavano” allo statista mite e volitivo.
Alla vigilia del Compromesso Storico (che vide Aldo Moro operare, convergere e prudentemente divergere da Enrico Berlinguer), assistiamo alle difficili manovre che dovrebbero far da sponda quindi convincere i “compagni duri e puri” (nonostante le disillusioni staliniane e d’Ungheria) ad accettare l’astensione ad un governo di monocolore, finito in tragedia, a via Fani, proprio la mattina in cui doveva presentarsi in Parlamento per il voto di fiducia.
Questi i fatti, nella loro essenzialità, preceduti da un ‘pianeggiante’ prologo in cui Moro (reso asciutto e mestamente perplesso dal sempre poliedrico Fabrizio Gifuni) vive, in apparente normalità, i suoi rapporti familiari e le ipocrisie di partito. Il film, sino ad ora, non fa cenno a quello che, a metà degli anni settanta, Alberto Ronchey aveva già individuato (e ben sintetizzato) nel Fattore K. Secondo cui, stando agli equilibri geopolitici successivi al secondo conflitto mondiale, a nessun partito occidentale di ispirazione marxista la Nato e il Patto Atlantico avrebbero mai consentito qualsiasi partecipazione ai “poteri esecutivi”. Vedremo in seguito…
Per il momento concentriamoci sulla reazione che Cossiga e Paolo VI, intarsiati da Bellocchio con generosa umanità (ed egregiamente resi da Russo Alesi e Toni Servillo) ebbero al momento “dovettero agire”. Ed a quanto si prodigarono affinché (anche tramite riscatto in danaro) l’ostaggio venisse liberato e restituito ai suoi cari.
Cesellato ma dilatato più del prevedibile, “Esterno notte” si congeda dal pubblico in sala lasciando qualche dubbio sulla potenziale ‘tenuta’ di quelle che saranno-diluendo il brodo telematico, quasi sei ore di proiezione. Per il sedentario e spesso distratto pubblico dei serial, trastullato da inserti pubblicitari e trailer di programmi in gestazione.
Sia detto ma senza pregiudizi… Ma se il ‘mezzo’ è già ‘contenuto’ la crisi del grande schermo sta cronometrando il suo salto nel vuoto, nel libero mercato (prendere o lasciare) di Netflex e Amazon
Esterno Notte Un film di Marco Bellocchio. Con Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo, Fausto Russo Alesi. Prod. Italia 2022