Dieci anni dopo
Matteo Renzi
Dieci anni fa il nostro Governo giurava al Quirinale. Il premier più giovane della storia unitaria del nostro Paese. La prima squadra con la perfetta parità tra ministri e ministre. Era il 22 febbraio. Nel mondo scout questa data speciale rappresenta “la giornata del pensiero”. E per chi come noi è cresciuto con la promessa di “lasciare ogni luogo migliore di come lo abbiamo trovato” (frase del fondatore del movimento scout, Baden Powell) iniziare l’alto servizio alla guida del Paese proprio quel giorno aveva un significato doppio. Ma non è del passato che serve parlare. Soprattutto non serve parlarne per chi oggi sta meglio di dieci anni fa: più relax, più qualità della vita sotto molti punti di vista. No, il passato non tornerà. Sorrido felice e invio un abbraccio affettuoso a chi invece vive di invidia e rancore: deve essere terribile respirare ogni giorno la propria rabbia.
È al futuro che vogliamo guardare in questo 22 febbraio. Proprio ieri Giorgia Meloni ironizzava da Cagliari dicendo: se porto a casa le riforme, cambio mestiere. Lo diceva scherzando. Perché lei ripete spesso: “Non voglio fare la fine di Renzi”. Non so se augurarle di non fare la nostra fine. Ma le auguro certamente almeno di fare il nostro inizio. Perché il Governo nato dieci anni fa perse la battaglia – sacrosanta – sulle riforme costituzionali. Che erano peraltro ben diverse da questa autonomia che chiamano differenziata ma ricorda la differenziata intesa come raccolta più che come principio giuridico. Ma quel Governo in pochi mesi portò a casa riforme attese da decenni. Le Unioni civili, il terzo settore, il dopo di noi, la legge sull’autismo, la cooperazione internazionale, l’omicidio stradale, lo spreco alimentare, il JobsAct, il divieto delle dimissioni in bianco, Industria 4.0, il piano periferie, il piano nazionale contro la violenza di genere, le unità di missione sul dissesto e sulla scuola, Casa Italia, gli 80€, le riforme legate al mondo della cultura secondo il principio di un euro in sicurezza, un euro in cultura. E ancora la flessibilità da trenta miliardi in Europa, la buona scuola, l’eliminazione delle tasse agricole senza cognati tra i piedi, lo sblocca Italia, lo Spid, la riduzione delle partecipate, l’Irap costo del lavoro, il canone in bolletta per pagare meno pagare tutti, il reddito di inclusione, le misure per le imprese. E la lotta all’evasione con la precompilata e la fatturazione elettronica. Essere riformisti significa fare questo non auspicare la patrimoniale da sinistra o il condono da destra.
A Giorgia Meloni auguro di fare meglio di noi. Di fare più riforme, di farle meglio, di farle più velocemente. Dopo un anno e mezzo abbiamo a Chigi una influencer capace di scrivere post emozionanti. Ma incapace di scrivere leggi credibili.
Ma noi, che siamo ancora convinti che un politico si giudichi da ciò che scrive in Gazzetta Ufficiale e non su Twitter, le auguriamo di fare meglio di noi.
Ne sarà capace?
Fonte: Il Riformista