Deposito rifiuti radioattivi: chi paga?


di Andres

In Italia non ci facciamo mancare nulla, oltre alla gestione bislacca e confusionaria dell’emergenza sanitaria, nel dibattito politico entra a gamba tesa, in queste ore buie e tetre per il nostro Paese, la questione dei depositi dei rifiuti nucleari.

Dopo sei anni di attesa, esce durante la notte tra il 4 e il 5 gennaio (guarda un po’ che coincidenza) la mappa delle aree che potranno ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti italiani, chiami in gergo “CNAPI”, Carta delle aree potenzialmente idonee.

Un documento con il quale sono state individuate 67 aree che soddisfano i 25 criteri stabiliti nelle regioni del Piemonte, Toscana-Lazio, Basilicata-Puglia, Sardegna e Sicilia.

A realizzare tale documento la Sogin s.p.a., società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi.

Adesso, entro 60 giorni, occorre avviare la cosiddetta consultazione pubblica.

Gli Enti locali, Regioni e Comuni, e i soggetti interessati potranno formulare le loro osservazioni alla Sogin. È la prima consultazione pubblica che si svolge in Italia.

Avere il consenso da parte delle comunità locali sarà impresa ardua, specialmente in un periodo di pandemia, dove tutti sono contro tutti, dove il clima è generalmente esacerbato, dove sono messe in discussione, giorno dopo giorno, le autonomie della Repubblica ai sensi del titolo V della Costituzione.

Le reazioni del M5S in Puglia

A riprova del vivo allarme che suscita nelle comunità locali l’idea di ospitare nei propri territori i rifiuti nucleari, i deputati pugliesi del M5S Giovanni Vianello e Angela Masi hanno diffuso ieri una nota nella quale si legge che: Per anni le associazioni ambientaliste hanno chiesto la pubblicazione della CNAPI, un importante documento per l’individuazione del deposito nazionale dei rifiuti nucleari che ora sono stoccati in siti non sicuri, e finalmente questo è pubblico. Tuttavia pensiamo che in Puglia e in Basilicata lo Stato abbia già fatto pagare per un interesse statale un insopportabile prezzo in termini ambientali, di salute e di sostenibilità nello sviluppo. Basti considerare l’Ilva, la Raffineria ENI, l’Itrec di Rotondella, i pozzi lucani dai quali si estrae petrolio, solo per fare alcuni esempi.

Nei ricordi delle persone sono ancora vive le forti opposizioni al tentativo di costruzione di una centrale nucleare ad Avetrana e lo stoccaggio dei rifiuti nucleari che il governo Berlusconi voleva imporre a Scanzano Jonico. Inoltre, come si evince dalle mappe, tra le aree potenzialmente idonee, queste risultano meno idonee rispetto ad altre zone nel resto del territorio, e contestualmente sono molto lontane dalle sedi delle vecchie centrali nucleari, si pensi quindi ai rischi aggiuntivi connessi ai lunghi viaggi per trasportarle fino a qui.

Infine questi territori sono fortemente vocati al turismo, un deposito nucleare potrebbe essere un forte deterrente per l’attrattività territoriale. Ora le comunità interessate dovranno presentare le osservazioni, è evidente il cambio di metodo rispetto a quando il centrodestra voleva imporre, senza alcun confronto con le comunità locali e senza alcuna alternativa nella localizzazione, lo stoccaggio delle scorie nucleari a Scanzano Jonico”.

Una procedura lunga e complessa

Alle immaginabili difficoltà si aggiunge una procedura complessa per portare a termine l’operazione. Una volta individuato il sito serviranno quattro anni per la costruzione.

Chi paga l’operazione?  I contribuenti naturalmente.
È prevista una spesa di 900 milioni di euro che saranno prelevati dalle componenti della bolletta elettrica pagata appunto dai contribuenti.
A questi poi andranno aggiunti i costi del complesso e difficile trasposto per le due isole maggiori, Sardegna e Sicilia, quest’ultima tra l’altro zona ad alto rischio sismico e vulcanico (misteri della fede). Si apre quindi il dibattito pubblico e la consultazione pubblica.
Al momento non convincono le soluzioni tecniche proposte. La superficie necessaria sarà pari a 150 ettari, di cui 110 per il Deposito e 40 per il Parco tecnologico. Una volta riempito, il Deposito avrà tre barriere protettive, e sarà poi ricoperto da una collina artificiale, una quarta barriera, e da un manto erboso. Le barriere ingegneristiche dovranno garantire l’isolamento dei rifiuti radioattivi per più di 300 anni, ovvero fino al loro decadimento a livelli tali da non essere più nocivi per la salute dell’uomo e dell’ambiente. Aspettiamo naturalmente il parere degli esperiti per capirne di più.
Non ci sottrarremo al confronto e al dibattito, non ci appartiene il “not in my backyard”, non nel mio giardino. Ognuno smaltisca le scorie e i rifiuti che produce, in questo contesto Confedercontribuenti sarà presente a tutela delle attività produttive insediate nei pressi delle aree dove verranno realizzati i siti per lo stoccaccio dei rifiuti radioattivi, le quali potrebbero pagare un prezzo troppo alto, oltre a vigilare sull’eventuale caro bollette.
Mala tempora currunt sed peiora parantur (corrono brutti tempi ma se ne preparano di peggiori)…