Quando si parla di crisi demografica, si parla anche delle pulsioni che spingono gli individui, prima, e un’intera popolazione, poi, a fare determinate scelte. Fattori umani che, nonostante l’acceso dibattito sulla denatalità, vengono spesso ignorati: “Tendiamo a mettere in secondo piano il ruolo del desiderio, che è il motore di ogni azione, inclusa la scelta di fare o non fare figli”, dice all’Adnkronos Claudia Ferrari, che ha curato il rapporto “Flair 2024” di Ipsos in collaborazione con Centromarca.
Dall’indagine emergono due elementi forti della popolazione italiana: un maggior gap tra ricchi e poveri e una società sempre più individualista. Nel dibattito demografico, questo si traduce in chi attribuisce la denatalità a un fattore economico e chi più a un fattore culturale (società più individualista).
A seguito delle numerose analisi condotte da Ipsos negli anni, che idea si è fatta di questo dibattito?
“Partiamo subito dal cuore della questione: non si può approcciare la crisi demografica da tifosi, come spesso avviene.
È evidente – dice Chiara Ferrari – che ci sia stata una mutazione di tipo culturale e anche valoriale: la priorità non è più il mettere su famiglia. Qualche decennio fa si avvertiva quasi l’obbligo sociale di fare figli. In qualche modo far parte della maggioranza che in qualche modo si conformava a un’idea di come doveva essere costituita la società.
Così come è evidente l’impatto dell’aspetto economico, le difficoltà di milioni di ragazze e ragazzi spesso con una condizione lavorativa precaria. Credo che questo aspetto incida più sulla pianificazione: un progresso di carriera e di salario lento fa rimandare la genitorialità. E porta, naturalmente, a famiglie sempre meno larghe e meno reticolari. Un fenomeno – ricorda Ferrari – legato all’evoluzione industriale.
Il fattore culturale, d’altro canto, incide più sulla scelta stessa di avere figli”.
Fattore economico e fattore culturale sono la sintesi, ma “le concause sono molte. Si mescolano e si tengono tutte in una specie di grande rete”, spiega la curatrice dell’indagine ‘Flair 2024’
Crisi demografica, un problema sottovalutato in Italia?
Tra i grandi temi di impatto sociale, non si può dire che la denatalità sia alla ribalta dell’opinione pubblica. Questo è un problema perché la curva demografica non si inverte in cinque anni o senza una prospettiva di lungo periodo.
C’è poi un sistema valoriale diverso tra i giovani, motivato anche da fattori economici e sociali. C’è il tema del desiderio delle persone, in un contesto dove la pressione sociale non è più fare figli, ma piuttosto produrre. Sicuramente con l’attuale governo si parla di più di crisi demografica, ma – sottolinea Chiara Ferrari – il problema resta sottovalutato dalla maggior parte degli italiani.
Stante la complessità del tema, incide di più il fattore economico o quello culturale?
“Per rispondere prendo spunto da un lavoro sui giovani che abbiamo fatto in collaborazione con il professor Alessandro Rosina sui giovani. Dallo studio, pubblicato all’interno dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, emerge una realtà per certi versi sorprendente: per lo più, i giovani vogliono avere due figli”. Numeri in contrasto con la fertilità media italiana, pari a 1,2 figli per donna in età fertile. Se questo desiderio dei giovani italiani diventasse realtà, si raggiungerebbe il cosiddetto tasso di sostituzione, pari a 2,1 figli per donna.
Ma cosa interrompe il cammino dal desiderio alla realtà?
“Quando il ragazzo o la ragazza si trova a fare i conti con i fatti e l’instabilità economica, la realtà cambia. Qui, però, c’è una precisazione da fare: molti si aspettano che riducendo questi ostacoli economici, automaticamente i giovani facciano figli. Questo è un grave errore perché si dà per scontato il desiderio, che è il motore di tutte le azioni umani, inclusa la scelta di fare o non fare figli.
Il lavoro part-time
Nonostante i dati occupazionali sorridano al Paese, il lavoro povero rappresenta un ostacolo concreto al presente economico e al futuro demografico italiano: “Spesso il part-time non è una scelta ma un’imposizione”, ricorda la curatrice dell’indagine “Flair 2024”. “Tantissime volte il part-time è un full time mascherato con tutte le conseguenze, contributive e di serenità, che questo comporta sui
giovani”.
Ferrari evidenzia come le difficoltà di inserimento dei giovani vadano contestualizzate in una società poco mobile. “Difficilmente chi proviene da un contesto familiare più povero o meno istruito riesce a scalare, in Italia l’ascensore sociale si è bloccato”.
Che ruolo ricopre nelle scelte dei giovani un contesto sociale e geopolitico sempre più incerto?
“Questo è un aspetto difficile da misurare con dei numeri, anche se non escludo qualche studio accademico a riguardo, ma cruciale. Gli elementi di incertezza fanno leva chiaramente sulla parte più emotiva delle persone, che sfugge alle valutazioni e va trattata con estremo rispetto. È importante soffermarsi su questo aspetto”, spiega Chiara Ferrari facendo eco all’appello di Elisa Di Francisca di qualche giorno fa.
Non è un caso che il 76% dei GenZ intervistati da Merck abbia dichiarato di volere figli, ma in una società profondamente diversa da quella attuale.
“Quando parli con loro – spiega Ferrari – capisce che per i giovani è sempre più importante la pace, intesa anche in senso sociale, poter vivere in un mondo diverso da quello che stanno vivendo ora. Io credo che sia anche normale per un giovane mettersi al riparo dalle preoccupazioni vivendo il presente, lo abbiamo fatto tutti. È chiaro che quando le preoccupazioni sono tante e le prospettive sono poche, il ‘non pensare a domani’ si protrae oltre l’adolescenza e si trasforma in una mancanza di prospettive
La narrazione ‘romantica’ del Covid
“Non dimentichiamoci dell’impatto che il lockdown ha avuto sulle relazioni di queste ragazze e di questi ragazzi. A un certo punto le relazioni passavano dagli schermi, ma abbiamo sottovalutato l’impatto sulla loro crescita, anzi: abbiamo persino romanticizzato il digitale, ‘guarda che belli, fanno l’aperitivo su zoom’. Abbiamo creduto al mito che saremmo diventati tutti più gentili e carini mentre, per necessità, schiacciavamo il tasto pausa alla loro evoluzione di questi ragazzi. Ora si portano dietro le ferite”.
Che impatto si aspetta dalle misure pro natalità varate dal governo?
“La crisi della natalità – ci tiene a ricordare Chiara Ferrari – affonda le radici negli anni 70-80 del secolo scorso, non nasce oggi. Quantomeno ora, anche grazie all’esecutivo, se ne sta parlando e sono state approvate delle misure concrete a sostegno della natalità. Ora serve che queste misure diventino strutturali e non cadano vittima della politica italiana, che spesso predilige le ragioni partitiche alla continuità. La crisi demografica, invece, ha bisogno di un impegno costante e duraturo che vada oltre le bandiere, perché riguarda il futuro del Paese”.
Quindi, una riflessione: “È sbagliato marchiare come ‘populiste’ le misure che incentivano la natalità, serve un ‘mandato di fiducia’, un patto tra politica e cittadini che vada oltre questo e quel partito. Se vengono prese delle scelte che riteniamo condivisibile, sosteniamole, non bocciamole a prescindere. Consapevoli, però, che la demografia è una scienza e che il problema è ben ramificato”.
Una prospettiva non ordinaria
Per Chiara Ferrari, dunque, occorre uno sforzo individuale e collettivo per vincere la sfida demografica. Questo significa anche non trascurare gli elementi simbolici che fanno parte della narrazione: “Se vai a Parigi e prendi la metropolitana e ti guardi intorno, vieni subito colpito dal fatto che le famiglie numerose non siano un’eccezione”.
Questo perché “In Francia le politiche per la famiglia hanno dato i propri frutti e sono iniziate già diversi anni fa”, spiega Ferrari evidenziando una volta di più l’importanza di un approccio strategico. “Le aspirazioni, gli esempi, i desideri imitativi fanno parte della natura umana: se vivi in un ambiente che trasmette certi valori, in qualche modo ne vieni influenzato e questo succede anche con chi immigra in Italia. Non a caso, seppure con le dovute differenze, è calato anche l’apporto demografico di chi immigra nel nostro Paese”.
Un esempio: “Ho letto recentemente di una suggestione: ‘come cambia il modo di vedere la famiglia, l’avere figli per chi vive in un piccolo paese dove viene chiuso anche l’unico asilo nido esistente? Come cambia, invece, la percezione se si apre un asilo nido in un paese che non ne ha mai visto uno?”, si chiede Ferrari, aggiungendo: “Anche l’aspetto simbolico fa parte del complesso problema demografico”.
Certamente, è difficile dimostrare statisticamente questa relazione, che però attrae diversi studiosi: “A proposito della sostenibilità, il noto ambientalista Alex Langer ha detto: ‘il giorno in cui (la sostenibilità) diventa socialmente desiderabile perché la pressione intorno si fa forte, sarà possibile vivere in sostenibile’. Credo – conclude Ferrari – che questo valga per tutto, anche per la natalità di un Paese”.
Fonte: https://demografica.adnkronos.com/popolazione/come-risolvere-crisi-demografica-intervista-a-chiara-ferrari-ipsos/