Dall’Isis alla Bosnia, le battaglie di un volontario padovano


(AGI) – “Nel momento in cui puoi fare qualcosa e non lo fai sei complice. Come si fa a guardare da un’altra parte? Che si tratti di un terremoto, di una catastrofe umanitaria o di persecuzioni politiche sei davanti ad un nemico da combattere con strumenti e armi proporzionali: tempo, soldi o la propria stessa vita”. Sembra una frase retorica eppure per chi per sette mesi ha combattuto contro Isis come foreign fighter al fianco delle milizia Ypg durante l’assedio di Raqqa ha tutt’altro significato.

Di nuovo in partenza

Claudio Locatelli, 33 anni, padovano, giornalista, attivista lo dice chiaramente: “Una volta che fai parte dello Ypg (in curdo ‘Unità di protezione del popolo’, ndr) lo sei per tutta la vita  e proteggere un popolo, qualunque popolo, significa intervenire in prima persona consapevoli che le cose cambiano solo quando si agisce”. L’AGI lo ha incontratolo  a Padova di ritorno dalla Bosnia e a pochi giorni da una terza nuova partenza.

Una mobilitazione inimmaginabile

“Cerco sempre di dare un senso ‘operativo’ al Natale, ma a causa del Covid ero bloccato a casa – racconta – poi il 29 c’è stato il terremoto in Croazia ed è stata la conferma che bisognava fare qualcosa. Ho quindi subito lanciato la missione, il 30 ho raccolto i materiali e il 31 siamo partiti. Quello che è accaduto è stata una mobilitazione inimmaginabile: il 30 c’era talmente tanta gente davanti al mio condominio che la polizia voleva bloccare la strada. Un’anziana del quartiere mi ha guardato e detto che quella era la più bella coda di persone del 2020. Ed era vero”.

Dodici furgoni e 40 volontari

In un giorno, un solo giorno, grazie al tam tam sui social network Locatelli raccoglie così l’equivalente di 12 furgoni di materiali, la disponibilità di 40 volontari di Solidarity Action e donazioni da 500, 600 persone (“impossibile avere un numero preciso perché all’inizio registravamo tutto e tutti ma siamo stati presto travolti dalle donazioni“, spiega). A quel punto, con garage, cantine e marciapiede invasi da giacche invernali, torce, pantaloni, scarpe e derrate alimentari sorge il problema dello stoccaggio.

“Accade allora l’incredibile, di nuovo: il responsabile di uno noto stadio di atletica leggera di Padova passa per di là facendo jogging – racconta – ci ha visto, ci ha chiesto cosa stesse accadendo e ci ha subito messo a disposizione la sua palestra”. Alla mattina del 31 dicembre il primo convoglio parte da Padova (non a caso nominata Capitale Europea del volontariato 2020) e mentre il mondo è impegnato a brindare e a far scoppiare fuochi artificiali alla mezzanotte Locatelli e altri volontari iniziano a scaricano i materiale raccolto in Croazia. “Sono arrivati a casa mia da tutto il Veneto con borse e zaini pieni di cose da donare ma mi hanno chiamato anche dalla Calabria e dalla Lombardia e a loro ho chiesto di fare donazioni economiche per acquistare derrate di cibo in Croazia in modo da aiutare l’economia locale”, spiega ancora Locatelli.

Il dramma della Bosnia

Il resto della missione è poi proseguita in Bosnia. “Lì la situazione si è fatta veramente drammatica ma soprattutto è drammatico il fatto che nessuno stia pensando ad una soluzione – racconta il volontario padovano – abbiamo trovato migliaia di persone nascoste nei boschi e nelle fabbriche abbandonate, in mezzo alla neve. Ho saputo di una persona a cui hanno dovuto amputare le dita dei piedi congelate. Alcuni sono nelle neve in ciabatte, sono fuggiti da guerre e ora pure maltrattati e derubati. Come puoi pensare di lasciare che qualcuno rischi di morire di freddo e di fame e girarti dall’altra parte?”.

In Siria contro Isis rischiando la vita ogni istante, ora in Bosnia, ma prima in Armenia durante la guerra nell’Artsakh e in Bielorussia dove è stato anche arrestato e prima ancora in Abruzzo, Emilia, Amatrice in occasione dei terremoti o in Grecia per aiutare i migranti che hanno invaso Salonicco e al più presto, garantisce, di nuovo in Armenia: un ritmo e un impegno che agli occhi di Locatelli non ha nulla di poi così eccezionale. “Il vero problema è che qui in Italia c’è l’adagio per cui la beneficenza debba essere silenziosa – ha spiegato – nulla di più sbagliato, io voglio dirlo, urlarlo quello che faccio per coinvolgere sempre più persone. Non sono ricco, non sono più fortunato di altri. Penso semplicemente che ci siano cose di fronte alle quali non possiamo girarci dall’altra parte”.

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Fonte: cronaca agi