Dall’astensione al voto populista


di Leonardo Becchetti e Guanluca Conzo

Quando aumenta la distanza tra le preferenze dei cittadini e i programmi dei partiti, l’astensione sale. A spiegare il successo dei populisti può essere allora la loro capacità di avvicinarsi di più alle richieste di chi non vota. L’analisi su cinque temi.

L’astensione in Europa

La European Social Survey (liberamente scaricabile qui) è una indagine che consente di studiare e approfondire le dinamiche delle preferenze politiche e sociali dei cittadini europei.

Un tema di grande interesse è quello delle decisioni di voto o astensione e delle loro determinanti. I dati relativi a 32 paesi e 10 edizioni successive, che coprono un arco di vent’anni, indicano un tasso medio di astensione alle ultime elezioni nazionali del 23 per cento (dall’8 per cento circa della Danimarca al 40 per cento circa della Lettonia) e una quota del 57 per cento di partecipanti all’indagine che dichiara di non sentirsi vicina a nessun partito politico.

La letteratura economica del paradosso del voto sottolinea come un individuo “egoista” (con funzione di utilità che non include preferenze sociali) non dovrebbe votare. Il costo, pur minimo, di recarsi alle urne non è infatti compensato da alcun beneficio perché chi vota sa che la sua singola decisione sarà ininfluente ai fini dell’esito elettorale. Il fatto che le persone votino rivela che la natura delle nostre preferenze è diversa e include preferenze pro sociali e norme morali. Si vota per senso del dovere o soddisfazione che si prova nella conformità a una propria norma morale (motivazione kantiana), o per la soddisfazione che deriva dalla conformità alla norma di comportamento di un gruppo (quello dei simpatizzanti dello stesso partito). Altri autori parlano di “duty payoff” o di una soddisfazione nell’espressione dell’atto del voto stesso, che rafforza la propensione a reiterare il gesto.
Cinque temi per misurare la distanza dai partiti

Una variabile che però incide significativamente sulla decisione se recarsi o no alle urne è quella della distanza tra le proprie preferenze e i programmi dei partiti. Il riferimento qui è il modello di Hotelling, nato in realtà per spiegare le strategie di localizzazione delle imprese e utilizzato poi anche per spiegare il posizionamento dei partiti politici. Nel modello che fonda la letteratura sulla differenziazione orizzontale di prodotto, i cittadini sono distribuiti uniformemente sul segmento di una spiaggia, desiderano mangiare un gelato facendo meno strada possibile e due gelatai competono tra loro con un prodotto identico per qualità e prezzo. In equilibrio, i gelatai si metteranno entrambi al centro della spiaggia dividendosi il mercato. Se il segmento della spiaggia diventa l’asse destra-sinistra e i gelatai due partiti, il modello predice come esito di un sistema bipartitico il risultato di due forze politiche con programmi quasi identici che si collocano al centro ed elezioni decise al fotofinish per pochi voti (come realmente successo in un duello Berlusconi-Prodi in Italia e in una contesa tra Gore e Bush negli Stati Uniti).

In una nostra ricerca facciamo un ragionamento più articolato, assumendo che, più che sulla semplificazione destra/sinistra, le preferenze politiche oggi si collochino su cinque assi tematici: distribuzione del reddito, atteggiamento verso i migranti, clima, sicurezza e diritti civili.

La European Social Survey consente di misurare la posizione di chi risponde su ciascuno dei cinque assi. Si possono confrontare i posizionamenti medi di chi si astiene (o di chi si dichiara lontano dalle forze politiche) e chi va a votare. Un raffronto ancora più interessante, e la definizione di una distanza tra cittadini e partiti sui vari segmenti, può essere realizzato calcolando il posizionamento dei partiti attraverso le opinioni degli esperti raccolte in un’altra indagine Chapel Hill Expert Survey (Ches).

I risultati empirici ottenuti nella nostra ricerca non rigettano l’ipotesi che la distanza tra le proprie preferenze politiche e i programmi dei partiti su ciascuno dei cinque assi sia un fattore che incide significativamente sulla propensione al voto.

Un dato molto interessante riguarda le caratteristiche delle preferenze di chi si astiene o di chi si sente lontano dai partiti rispetto al resto del campione. Si tratta di persone significativamente meno sensibili al problema del clima e dei diritti civili, più preoccupate di migranti e sicurezza e più attente al tema della distribuzione del reddito. In questo gruppo, i livelli d’istruzione e di reddito sono mediamente più bassi.

Azzardando un’interpretazione, esiste una quota rilevante di popolazione spaventata dalla transizione ecologica e digitale e dalla globalizzazione, che vede peggiorare (almeno in senso relativo) la propria condizione rispetto agli high-skilled nei diversi paesi. Questa parte di popolazione è preoccupata della competizione con gli stranieri che arrivano e dei problemi di sicurezza correlati, alimenta l’area della protesta e del non voto e chiede che il tema della distribuzione del reddito venga prima di quelli del clima e dei diritti civili.

Non è probabilmente un caso che gli esiti elettorali abbiano premiato i partiti più vicini alle preferenze di chi si astiene, assumendo che sono preferenze di un mondo più vasto, che quei partiti riescono a conquistare solo in parte. E non è neppure un caso che negli ultimi tempi la competizione tra le forze politiche si sia spostata, con strategie politiche diverse, sui temi degli interventi a favore di questo segmento della popolazione. Un’altra lezione che possiamo trarre dai nostri risultati è che il successo della transizione ecologica dipende dalla sua desiderabilità sociale o meglio dalla capacità di identificare sentieri che non trasferiscano i suoi costi sulle spalle dei più deboli. Solo in questo modo, potrà essere politicamente sostenibile.

Fonte: la Voce