Neri e rossi, sono stati recuperati grazie al ritrovamento dei semi nella cantina di un anziano contadino. Quella dei ceci lisci di Cassano delle Murge, Presidio Slow Food, è stata “un’operazione di archeologia delle sementi”: lo sostiene Nicola Curci, fiduciario della Condotta Slow Food delle Murge, nel Barese, e il paragone in effetti regge: basti pensare al modo in cui sono stati rinvenuti i semi, per lungo tempo scomparsi dai terreni di questo angolo di Puglia.
(TurismoItaliaNews) Nelle campagne di Cassano delle Murge e di alcuni comuni limitrofi, in quella che in passato era chiamata terr’d cicerin, si coltiva un ecotipo locale che ha saputo adattarsi molto bene al clima della zona: gli inverni rigidi e le estati torride non hanno scoraggiato l’affermarsi di questa coltura, che ha trovato nei suoli calcarei delle Murge condizioni ideali per la sua crescita. Il territorio è in parte protetto dal Parco Nazionale dell’Alta Murgia, che comprende tutto l’altopiano che dal centro della Puglia e con un susseguirsi di colline, terrazzamenti e cavità carsiche, degrada dolcemente fino alla costa adriatica.
La vocazione della zona di Cassano delle Murge alla coltivazione dei legumi è testimoniata da diversi documenti storici. Già alla fine dell’800, data la scarsa disponibilità di proteine animali, si consumavano abbondantemente e si vendevano: i ceci prodotti in collina si affidavano ai mediatori che portavano la merce presso i mercati di Bari, Modugno e Foggia. Dati statistici relativi ai consumi della provincia di Bari rivelano poi che nei primi del ’900 la farina di ceci si consumava solo a Cassano delle Murge. I ceci lisci di Cassano delle Murge sono stati conservati grazie al lavoro dei contadini della zona che, ogni anno, selezionano una parte del raccolto per destinarla alla semina dell’anno successivo. Il seme ha dimensioni medio-grandi, forma tondeggiante e una buccia liscia e sottile, come suggerisce il nome. Il colore varia dal rosso mattone al marrone molto scuro, quasi nero, con diverse sfumature.
Tradizionalmente la semina avveniva “ai nove lamb”, nei nove giorni prima del Natale. Oggi, i semi si interrano a mano, con la tecnica del solco dritto, tra dicembre e febbraio. La coltura è molto resistente alle malattie e ai parassiti, e non necessita di particolari cure agronomiche né di irrigazione, grazie alla capacità dei terreni di trattenere le acque piovane e rilasciarle gradualmente nei periodi di siccità. La raccolta si esegue generalmente tra giugno e luglio, quando la pianta ha raggiunto un buon grado di essicazione in campo: le piante si estirpano a mano e si raggruppano in covoni, che poi si battono con l’ausilio di bastoni in legno, detti magghjioccl. Poi, sempre a mano, con l’aiuto di setacci o farnal che si agitano sotto vento, si separa la granella da eventuali residui di pianta, foglie e baccelli. Infine si esegue il trattamento a freddo del prodotto, che consiste nel porre i legumi per alcuni giorni in una cella di congelamento.
Dopo un ammollo di 48 ore, i ceci cuociono in circa 120 minuti in abbondante acqua salata.La tradizione vuole che, una volta lessati, i ceci si consumino ripassati in padella con cotica di maiale e alloro oppure con cipolla soffritta e peperoncino. Si mangiano anche ridotti in crema o senza alcun condimento, come si faceva una volta, presi direttamente da “jind u’ pignatidde”, il tipico contenitore in terracotta adibito alla cottura lenta vicino al fuoco nel caminetto. In passato, con l’acqua di cottura dei ceci si preparava una bevanda densa e scura, dalla consistenza gelatinosa, definita “caffè dei poveri”, particolarmente apprezzata per le proprietà energizzanti che le si attribuivano.