AGI – Se via del Corso oggi è la primatista degli assembramenti romani, se lo struscio forsennato purtroppo non si ferma neanche davanti al Covid, la ragione non sta soltanto nella voglia irrefrenabile di shopping ma ha anche una matrice ancestrale, visto che fino alla fine dell’800 il lungo corridoio tra piazza Venezia e piazza del Popolo era l’epicentro di affollate feste di Carnevale, con tanto di banchetti e corse dei cavalli.
“Durante i giochi di Carnevale si fermava l’intera città mentre gran parte della popolazione, come attratta da una calamita, si riversava in via del Corso e nelle strade limitrofe”, racconta il giornalista Stefano Caviglia nel suo ‘Guida inutile di Roma, luoghi e storie della città di un tempo’, appena sbarcato in libreria, edito da Intra Moenia.
È un viaggio intrapreso con un titolo volutamente paradossale nei luoghi scomparsi della capitale e nelle vicende che hanno portato alla loro distruzione consegnandoci una Roma diversa, a tratti irriconoscibile, tra “buchi” lasciati da pezzi di storia abbattuti, come villa Ludovisi, e buche contemporanee sull’asfalto. “Abbiamo scelto questo titolo – chiarisce l’autore all’Agi – per sottolineare che il libro non potrà servire da indice delle tappe canoniche di una visita turistica in città ma è adatta invece ad osservare Roma più in profondità”.
Dall’Esquilino a San Pietro passando per piazza Venezia, l’antico ghetto ebraico, il Tevere e i Fori, il libro fornisce una mappa che collega la città contemporanea a quella di un tempo, concentrandosi sui cambiamenti di scenario degli ultimi 150 anni, quelli di Roma capitale: “Dalla breccia di Porta Pia e nell’arco di settanta anni Roma ha subito una trasformazione di cui i romani sono poco consapevoli, a partire dal numero degli abitanti, dai 220 mila del 1870 al milione degli anni Trenta – chiarisce Caviglia – urbanisti e storici hanno già approfondito le ragioni politiche-economiche che hanno determinato la costruzione del Vittoriano sul Campidoglio, di via dei Fori Imperiali o, ad esempio la scomparsa di villa Ludovisi, ma il mio libro lo racconta invece in modo divulgativo e non ideologico, rivolgendosi a un lettore non specialista”.
Attraverso storie, analisi, citazioni di viaggiatori famosi, ma anche con le settanta preziose foto d’epoca che ritraggono zone fra le più conosciute e frequentate di Roma in una forma completamente diversa, Caviglia in un anno e mezzo di lavoro negli archivi ha dato vita a un’operazione da ‘Ritorno al futuro’ capitolino: la foto di piazza Indipendenza in cui campeggia il villino del senatore ligure Astengo, poi sacrificato per palazzo dei Marescialli, sede del Csm, svela così ad esempio, che attorno alla prima la stazione Termini inaugurata nel 1874 e che oggi nonostante i vari interventi non riesce a scrollarsi di dosso caos e atmosfere da casbah, c’erano i villini più chic della capitale abitati dal potere politico e finanziario.
Come l’antico ingresso della stazione Termini in piazza dei Cinquecento, smantellato in omaggio al nuovo scalo ferroviario inaugurato nel 1950, sono spariti anche, a favore di via della Conciliazione e per rendere San Pietro visibile da Castel Sant’Angelo anche i palazzi rinascimentali che facevano da anticamera alla magia del cupolone, così come la collina Velia di fronte al Colosseo (per farlo vedere da piazza Venezia) e il viadotto di Paolo III (da piazza Venezia al Campidoglio) un camminamento abbattuto per mostrare la magnificenza del Milite Ignoto.
Ma aveva tutt’altra veste anche piazza Colonna, una volta appartata rispetto a via del Corso, grazie al cinquecentesco palazzo Piombino che la chiudeva sul quarto lato, diventato in fretta incompatibile con la destinazione dell’adiacente piazza Montecitorio a ingresso della Camera dei deputati e alla sua nuova relativa connotazione di luogo pubblico dove si concentravano politici e giornalisti: “Vista dalla parte di piazza Montecitorio piazza Colonna appariva uno spazio chiuso, tutto il contrario di ciò che avevano in mente gli artefici della nuova Roma, e quindi non restò che sfondare il lato est della piazza, demolendo nel 1889 palazzo Piombino”, racconta Caviglia.
E così rimase fino a quando nel 1922 venne inaugurata la Galleria Colonna, oggi intitolata a Alberto Sordi, nata nello stesso anno in cui Mussolini scelse palazzo Chigi come sede del ministero degli Esteri e lì fissò la sua sede di lavoro e anche il suo primo balcone, tra piazza Colonna e via del Corso, da cui teneva i suoi discorsi, prima di spostarli a piazza Venezia.
Tutto il libro è pieno di macro e micro storie: alcune curiose come la presenza sui balconi di via del Corso, di bussolotti di legno e cristallo attraverso cui le nobili proprietarie potevano osservare ciò che accadeva in strada senza essere viste, smantellati nel 1871 dall’amministrazione comunale e altre che potranno forse disilludere chi come i turisti che affollano i ristoranti del Portico d’Ottavia è convinto di mangiare nel cuore dell’antico Ghetto ebraico.
Sbagliatissimo, non è così: era un rettangolo di appena tre ettari, esteso in lunghezza da piazza delle Cinque Scole al ponte Fabricio, (quello dell’isola Tiberina), sovraffollato, pieno di botteghe e luoghi di culto, tutto abbattuto a causa delle pessime condizione igieniche e urbanistiche a inizio Novecento per essere sostituito da un insieme tutto nuovo. Lo spazio vuoto lasciato da una parte del ghetto abbattuto fu soprannominato “la mattonella”, e proprio lì nel 1904, gli ebrei scelsero di costruire il tempio Maggiore.
Vedi: Dai “buchi” dei palazzi abbattuti alle buche stradali, così è cambiata Roma
Fonte: cultura agi