DaD, un acronimo che divide


di Gianni De Iuliis

L’acronimo DaD sta per Didattica a Distanza. Tutto è cominciato nel mese di marzo 2020: a causa della pandemia il Governo italiano decide un lockdown generale in tutto il Paese. L’Italia diventa zona protetta. Fra le altre misure assistiamo alla chiusura dei servizi educativi per l’infanzia, delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni di formazione superiore. Da un giorno all’altro chiude la Scuola, senza paracaduti e senza prospettive. Dopo una prima fase di confronto, di ricerca di soluzioni, di ipotesi da sperimentare, di sofferenze anche psicologiche da superare, è emersa prepotentemente la coesione della comunità scolastica che, nonostante i suoi limiti strutturali e contingenti, ha trovato nuove forme e nuovi mezzi per cercare di garantire il diritto all’istruzione, seppur a distanza, degli alunni. I docenti in breve tempo si sono formati e hanno cominciato a fare lezione a distanza. La gestione della didattica a distanza nell’anno scolastico 2019-20, almeno nei primi tempi, risentiva di un senso di precarietà diffuso, di una forte componente di transitorietà e di provvisorietà; tuttavia si è giunti alla fine dell’anno scolastico in maniera abbastanza fluida, con il normale svolgimento degli Esami di Stato.

Poi la fine della Scuola, la pausa estiva, il calo dei contagi. Tuttavia già a partire da maggio e poi durante l’Estate il Ministero ha fornito un quadro di riferimento entro cui progettare la ripresa delle attività scolastiche nel mese di settembre. Pertanto a tutte le istituzioni scolastiche sono state fornite Linee Guida contenenti indicazioni per la progettazione del Piano scolastico per la Didattica Digitale Integrata (DDI) da adottare nelle scuole secondarie di II grado in modalità complementare alla didattica in presenza ed eventualmente anche in tutti gli altri gradi d’istruzione in caso di necessità di contenere il contagio. L’acronimo DaD si trasforma in DID (Didattica digitale integrata) e scompare. Le lezioni a distanza integrano, non sostituiscono, quelle in presenza. Le Linee Guida tuttavia prevedono la possibilità di sospendere nuovamente le attività didattiche in presenza a causa delle condizioni epidemiologiche contingenti.  

A un certo punto è successo qualcosa di strano. Gran parte dell’opinione pubblica, parte della classe politica, tutti i media hanno cominciato a intonare peana a favore della didattica in presenza, demonizzando senza esclusione di colpi quella a distanza, dimenticando gli sforzi e i sacrifici dei docenti, degli alunni e delle famiglie della scorsa primavera.

Progressivamente i toni sono diventati apocalittici: le lezioni a distanza non garantiscono il diritto allo studio, impediscono la socializzazione trasformando i giovani italiani in monadi. Sul nostro quotidiano, qualche giorno fa, è apparsa un’interessante intervista a Chiara Saraceno, sociologa di chiara fama. Anch’ella però si è lasciata andare ad affermazioni apocalittiche, sostenendo addirittura che «con la didattica a distanza si rischia di perdere una generazione».

L’operazione mediatica portata avanti contro la didattica a distanza è stata abilmente inserita in un dibattito sull’opportunità di rientrare a scuola in presenza, pur in un contesto di emergenza epidemiologica. I crociati della didattica in presenza spingono per il rientro, inventandosi percentuali, eccezioni e altre amenità, sostenendo che la scuola è il luogo più sicuro in assoluto e che non si può negare ai ragazzi la possibilità di svolgere le proprie lezioni in aula, alla presenza dei docenti e dei propri compagni. Manifestazioni abilmente manipolate dai media che presentano docenti e studenti che protestano dinanzi ai plessi scolastici chiedendo di poterci entrare a fare lezione, docenti e studenti che sono una minoranza assoluta; nessuno mai ha dato voce a chi ha paura, a chi saggiamente preferisce non rischiare.

Ma questo articolo non vuole certo appesantire un dibattito stucchevole e infecondo sull’opportunità di rientrare a scuola in presenza. Basta ascoltare ciò che la storia insegna: durante una pandemia ogni manifestazione di massa deve essere assolutamente evitata. Basta leggersi le cronache del Trecento o del Seicento in Europa. Giusto chiudere stadi, teatri, cinema e luoghi d’incontro. Chiudiamo questa parentesi con una domanda: se la scuola è un luogo sicuro, perché non considerare un rientro in presenza totale, senza se e senza ma, piuttosto che arrovellarsi su percentuali (entra il 50%, anzi no il 75%, anzi meglio il 50% più uno)?

I tre pilastri fondamentali di uno Stato moderno, sistema sanitario, scolastico e sicurezza, sono stati messi a dura prova, ma quello scolastico ha reagito con reattività e raggiungendo ottimi risultati; con spirito di servizio si è subito adeguato alla nuova realtà, passando dal reale al digitale con disinvoltura e professionalità, onorando e garantendo un diritto costituzionale.