GIOVANNI SALLUSTI e ANDREA SCAGLIA
Ripartiamo dai fondamentali. Cos’è, cos’è stato, e cosa dovrebbe essere l’AcMilan. Per dirla brutale: una squadra che vince la Coppa dei Campioni (evocata proprio così, scusate, ciascuno ha diritto alla proprie nostalgie infantili, quelle di chi scrive hanno le treccine arrembanti di Gullit e lo sguardo allucinato di Sacchi). Mi rendo conto che oggi suona surreale, davanti a Brahim Diaz che sfoggia la 10 di Rui Costa, ma il Milan o è se stesso, l’eccezione estetica «in Italia, in Europa e nel mondo» (come da dogma berlusconiano), o non è.
Benissimo, c’è una via sicura per non vincere quella che oggi si chiama Champions League: finire in mano ai miliardari col turbante del Golfo Persico. Non è pregiudizio etnicista, chiariamo prima di incorrere nelle milizie politicamente corrette, è il giudizio ricavato a posteriori dall’esperienza di Manchester City e Paris Saint-Germain. Che nell’ultimo decennio hanno seguito implacabilmente lo stesso copione: investimenti faraonici, figurine in serie di fuoriclasse o presunti tali (strapagati gli uni e gli altri), allenatori cambiati a seconda dell’umore mattutino dello sceicco, incetta di campionati e coppe nazionali. Coppe dalle grandi orecchie: zero. Il punto è che, filosofeggiava l’Arrigo, «una Coppa dei Campioni vale 32 scudetti».
Per carità, non è che gli arabi non siano attrezzati per l’impresa, e senz’altro vale anche per quelli di Investcorp, il fondo del Bahrain che starebbe trattando il Milan. Il problema, per una volta davvero, è culturale. Il Milan non torna Milan perché un giorno un petro-monarca imbottito di grana va sul mercato e torna con 12 fantasisti e 9 portieri (è successo davvero al Psg!). Il Milan sta tornando col metodo imposto da un certo Maldini: competenza (no, uno non vale uno nemmeno a inseguire un pallone), valutazioni tecniche preferibilmente su profili giovani senza cedere di un millimetro alle trame dei due-tre procuratori specialisti nell’arte della cresta, le altre due M (Massara&Moncada) a fare da dioscuri di Paolo, Gazidis a fare se stesso, l’Ibra dei risanatori.
L’anno scorso secondi, quest’anno ad ora primi, la fatidica musichetta europea di nuovo orecchiata, un gradino per volta, per iniezioni di milanismo successive, cultura del sacrificio e tentativo introiettato del bel gioco, l’identità ritrovata dopo lustri. Maldini come garante di tutto, gli americani di Elliott come garanti del garante. Loro poi vogliono vendere, e lo capiamo, è il loro mestiere. Ma questi acquirenti mediorientali avrebbero la loro stessa intelligenza sportiva e manageriale? I precedenti dicono di no, il dubbio è lecito, almeno in Occidente.
fonte: Libero