di Elvira Serra
La manager Marta Donà: Mengoni mi ha convinto a fare questo mestiere. In agenzia siamo tutte donne «È il soprannome che mi ha dato Fiorello: portavo gli ospiti al suo programma»
Perché «Latarma»? «Perché è l’anagramma di “la Marta”. Era una gag di Fiorello: quando lavoravo in Sony e portavo gli ospiti al suo programma, lui scherzava sul mio nome. Così l’ho tenuto come nickname su Twitter e poi l’ho scelto per la società che ho aperto nel 2016».
Marta Donà compie 40 anni tra un mese. Festeggerà sul palco, come le è capitato spesso negli ultimi dieci anni. Questa volta a San Siro, dietro le quinte del concerto di Marco Mengoni, che non è soltanto l’artista che segue da più tempo — dalla fine del 2011 — ma è quello al quale deve il lavoro che fa. Fu lui a chiederle di diventare la sua manager. Lei rispose: «Sei pazzo». Oggi nel «suo» personale palmarès vanta tre vittorie a Sanremo (due con Mengoni, una con i Måneskin), due podi (entrambi con Francesca Michielin), cinque partecipazioni all’Eurovision (due con Mengoni, poi con Michielin, Måneskin e Alessandro Cattelan da conduttore). Nell’azienda che ha fondato lavorano soltanto donne: in tutto sono 14. Un traguardo inimmaginabile per la bambina di Mira, cresciuta nella Riviera del Brenta, che «da grande» voleva scrivere. In effetti lo ha fatto: nei giornalini di classe, alle elementari e al liceo, e per i giornali locali veneti, dove giovanissima intervistò Piero Pelù e Tiziano Ferro. Poi ha capito che non era quella la sua vocazione e dopo una montagna di fotocopie da stagista, e una parentesi in Spagna, è entrata in punta di piedi in una agenzia di comunicazione, la N&M Managege ment, da lì è passata a Sony come ufficio stampa, finché Marco Mengoni non le ha fatto la proposta indecente.
Come andò?
«Quando mi chiese “Marta, ti licenzi e mi fai da manager?”, la prima risposta fu: “No, non sono in grado”. Quindi gli feci incontrare dei veri manager. Ma lui tornò da me e disse: “In effetti sono tutti più bravi di te, però penso tu sia la persona giusta perché mi fido di te e perché dove non arrivi tu arrivo io. Alle brutte, tu torni in azienda e io mi iscrivo all’università».
Non è stato l’unico matto a fidarsi di lei. Alessandro Cattelan è un altro.
«Soprattutto perché ai tempi non sapevo nulla di televisione! Era appena scomparso Franchino Tuzio, il suo storico agente, un manager fortissimo. Ale ha fatto la pazzia di propormi di costruire qualcosa insieme. Anche con lui, per me, è stata una super sfida. Ho cominciato a studiare, a prepararmi. Con Antonio Dikele Distefano, poi, che aveva già scritto una serie tv per Netflix, è stato un altro salto. Mi piace imparare».
Ha una formazione umanistica: come ha fatto con i primi contratti?
«All’inizio ho chiesto aiuto all’avvocato di Marco (Mengoni, ndr). Sono andata a casa sua: ricordo ancora il divano, la moglie, le figlie, e io con tutti quei contratti davanti che gli chiedevo perché qui è così, perché lì c’è quella clausola? Se i primi tempi qualcuno mi ha sottovalutata, adesso ho la fama di essere una gran rompiscatole. Spero di essere diventata autorevole senza essere autoritaria».
È nipote d’arte: sua zia è Claudia Mori. L’ha aiutata?
«Credo che questa parentela mi abbia agevolata soltanto per fare i primi tre mesi di staa Milano dopo la triennale in Scienze della comunicazione, editoria e giornalismo presa a Verona».
Sarà cresciuta a pane e musica.
«Per me zio Adriano (Celentano, ndr) era come zio Franco, assolutamente normale. Certo, quando andavamo con i miei fratelli a casa sua e stavamo lì per l’estate, con la nonna, il salotto era abbastanza grande per contenere il divano dove giocavamo o facevamo i compiti e più in là il computer con il microfono. Maturando, vedendo le persone che gli chiedevano le foto, ho realizzato chi fosse».
A lei i compagni di classe non hanno mai chiesto l’autografo di suo zio?
«No, però rivendevo i suoi dischi con l’autografo che facevo io!».
Ha mai assistito a un incontro memorabile?
«Capitava che mio zio incidesse con noi in casa, penso a Io non so parlar d’amore, Acqua e sale, che è un pezzo con Mina. Se devo scegliere un incontro, mi viene in mente il suo abbraccio con Gaber per un programma in tv. Soltanto dopo ho capito quanto fosse significativo per loro».
Ha seguito i Måneskin per più di quattro anni.
«Da prima di X Factor fino all’Eurovision del 2021».
Quando ha cominciato non erano maggiorenni.
«No, a parte Damiano. Thomas aveva 16 anni».
Sarà stato complicato.
«Avevo una chat con i genitori, una con loro e i genitori insieme, e una con loro quattro da soli. Abbiamo condiviso 4-5 anni bellissimi, era impensabile ottenere più di quello che abbiamo ottenuto. Sono molto felice di quello che stanno facendo».
Come vi eravate conosciuti?
«Li avevo visti un po’ prima che loro entrassero a X Factor, in una sala prove. Fin da lì avevano le idee molto chiare sui brani che volevano cantare e performare. Devo dire che hanno avuto la grossa fortuna di avere un coach come Manuel Agnelli, che non li ha snaturati. Penso solo all’esibizione di Damiano sul palo in mutande e tacchi a spillo per Kiss This».
La vostra «rottura» ha colto tutti di sorpresa.
«Ci si lascia tra marito e moglie e ci si può lasciare anche con gli artisti, uno lo mette in preventivo».
Vi sentite ancora?
«È capitato».
Nel 2020 è diventata mamma di Orlando. Si è preoccupata, pensando al lavoro?
«Quando l’ho scoperto è stato uno choc, però bello. Ho avuto la fortuna di lavorare fino all’ultimo giorno, era il 31 marzo del 2020, in una Milano da film tipo The day after tomorrow. Quel giorno è andato in onda un progetto a cui avevo appena finito di lavorare: una maratona musicale di 6 ore trasmessa su Rai 1 per beneficenza».
Orlando viene ai concerti? «Viene ovunque, ma ai concerti indossa le cuffie. Devo ammettere che mi aiutano molto i miei suoceri e poi il mio compagno, Jacopo». Quanti figli ha «Latarma»? «Adesso cinque, ma alcune ragazze sono giovanissime». Progetti per il futuro? «Una nursery in ufficio. E poi a breve una divisione all’estero».
Fonte: Corriere