Cesare Cremonini torna sul mercato con un concept album che è grande dieci volte il mercato, un ragionamento profondo sulla nostra natura e, più in generale, sul mestiere di cantautore. Irama butta giù invece un disco schizofrenico dentro il quale il godibile si mescola all’evitabile; a questo proposito, in settimana fuori anche il nuovo singolo di Tommaso Paradiso, ma per capire che è nuovo bisogna farci proprio attenzione.
ARIETE continua a cantare, e bene, la sua generazione, Fulminacci propone un brano eccezionale, e non è una novità. “Mielemedicina” di Anastasio è un disco stupefacente, così come i brani di Alessandro Fiori e Chiamamifaro. Chicca della settimana: “Amore, violenza, amore” di Carlo Corallo.
Cesare Cremonini – “La ragazza del futuro”
Certo, è chiaro, l’uscita di un nuovo album di Cesare Cremonini, a ben cinque anni dal precedente, ormai una tempistica quasi biblica, è un evento. Forse però stavolta è un evento un po’ più evento, non solo perché “La ragazza del futuro” è un bellissimo album, quattordici canzoni che parlano di chi le ha scritte e le interpreta, si, ma anche di noi, dei nostri amici, dei nostri vicini di casa, con un’universalità di intenti davvero sbalorditiva; ma anche perché l’ex frontman di quello che, più che un progetto musicale è stata una favola che tutti ci ha fatti appassionare sul finire dei ’90, e ci riferiamo naturalmente ai Lunapop, lancia un guanto di sfida leggiadro ma deciso a quella discografia ormai ridotta ad uno spezzatino di brani mordi e fuggi. (Leggi l’intervista concessa all’AGI)
A questo meccanismo industriale e ben poco poetico Cremonini risponde con un vero e proprio concept album, in barba ai fanatici delle chart, degli stream, dei like, delle views; un lavoro ponderato, intenso, a tratti anche complesso e spettacolare (pensiamo a “Stand Up Comedy”, il brano che abbiamo preferito tra i tanti, tutti a dire il vero, belli del disco), con il proposito di risultare sociale, quasi politico.
Così alla fine l’artista, a ben ragione tra i più amati dell’intera scena cantautorale italiana, si ritrova per le mani qualcosa che va oltre i meri numeri del mercato, oltre gli ingranaggi discografici, oltre la volontà, fisiologica per chi fa quel mestiere lì, di spaccare in due le radio; oltre se stesso in realtà, forse anche oltre quello che era umanamente possibile immaginarsi, un album che forse dice a lui più di quanto lui volesse dire a noi attraverso l’album stesso.
Irama – “Il giorno in cui ho smesso di pensare”
Troviamo Irama sempre più a fuoco come artista, gli ultimi due brani portati in gara nelle ultime due edizioni del Festivàl di Sanremo ci dicono questo, ed è apprezzabile l’evidente volontà dell’ex “Amici di Maria De Filippi” di ricercare sonorità più complesse, di trovare la propria strada; ma è evidente che questa corsa è ancora tutt’altro che finita.
“Il giorno in cui ho smesso di pensare” infatti è un disco quasi schizofrenico, nell’interezza senza un nesso logico, un filo conduttore, un comune denominatore stilistico; il che vuol dire che ci sono anche dei buoni brani, ci vengono in mente “5 Gocce” in collaborazione con Rkomi, “Colpiscimi” con Lazza e “Goodbye” e “Yo Quiero Amarte”, ma poi ce ne sono degli altri semplicemente imbarazzanti: “Iride” in featuring con Guè è talmente brutta che la parte migliore del brano è quella interpretata da Guè, giusto per farvi capire la misura del disgusto; e “Una lacrima” in featuring con Sfera Ebbasta è uno dei momenti più bassi della cultura occidentale moderna.
Tommaso Paradiso – “Tutte le notti”
Altro capitolo della saga di Tommaso Paradiso, una saga che ha un solo e unico protagonista, che è appunto Tommaso Paradiso, ancora in preda a questa autobeatificazione spicciola, ancora ubriaco di se stesso, ancora incapace di guardare oltre il proprio naso. Questa “Tutte le notti” anticipa l’uscita di “Space Cowboy”, il primo disco solista di Tommaso Paradiso, talmente atteso che forse non lo aspetta più nessuno, certamente molti meno dopo le ultime disastrose uscite, un disco che stiamo aspettando da talmente tanto tempo che saranno rimasti giusto gli atri due Thegiornalisti a ricordarsi che a cantare in quella band era Tommaso Paradiso, e chissà se Tommaso Paradiso ha mai saputo che c’erano altri due a suonare sul palco con lui ai tempi; ma questa è un’altra storia. Il cantautore romano, che non è privo di un senso di struttura nella composizione, che, insomma, ricordiamolo, non è uno che non sa scrivere canzoni, anzi, in passato ne ha scritte di bellissime, ci rifila nuovamente la stessa minestra, la stessa che ci ha già sdegnato da anni, e lo fa senza alcun pudore, tant’è che questo “Space Cowboy”, se tanto ci da tanto, dovrebbe suonare più o meno ripetitivo come l’allarme di una macchina, ma più fastidioso.
Fulminacci – “Chitarre blu”
Fulminacci non ne sbaglia una, si dimostra, lavoro dopo lavoro, il più promettente tra tutti i cantautori di nuova generazione. Il suo esplorare la vita attraverso immagini semplici è stupefacente, così come è stupefacente la capacità di giocare con il sound senza mai snaturarsi. In “Chitarre blu” un ragionamento profondo, maturo, evocativo, di quella fisiologica piattezza che spesso mette in crisi le coppie, e Fulminacci la racconta con quella forma di poetica stimolante, viva, contemporanea e, diciamocela, unica. Perché Fulminacci questo è: un artista semplicemente unico.
ARIETE – “Specchio”
Non è mica un problema se una ragazza di vent’anni scrive dei brani con tematiche da ventenne, anzi, è esattamente quello che ci aspettiamo, anzi, di più, è esattamente quello che auspichiamo, certo, finché si tratta di buoni brani. Ecco, quelli di ARIETE sono veramente ottimi, c’è un’idea di musica ben definita, un talento vero, tangibile, nel costruire brani perfetti, solidi, estremamente contemporanei. La poetica è totalmente autentica, i brani trasudano onestà, questo è quello che vuole cantare e lo canta bene, mettendoci dentro un’interpretazione vivida ma sempre chirurgicamente misurata.
Si tratta di un gran bel disco, di quelli che un’intera generazione può stringere al petto per fermare quegli attimi che, ci spiace essere proprio noi a dirvelo, non torneranno più; be, canzoni come “Castelli di lenzuola”, “Cicatrici” (in featuring con Madame), “Iride” o “Spifferi” (veramente notevole) sono tra le cose migliori che vi porterete dietro per sempre di questi anni, così come per noi sono stati gli 883. ARIETE invece avrà il compito, arduo, di crescere insieme al proprio pubblico, ma è talmente brava che ci riuscirà senza problemi.
MACK feat. Inoki e Murubutu – “ST4RS”
Fluttuazione rap molto intrigante in puro MACK style, quindi suoni tech, tra campionamenti e sintetizzatori, mescolati al suonato di batteria e basso che tirano una linea netta e coinvolgente. Inoki e Murubutu, due fuoriclasse della scena italiana che traducono tutto ciò in barre dal sapore imprevedibile, quasi jazz. Ottimo lavoro.
Anastasio – “Mielemedicina”
Questo disco straordinario altro non fa che confermarci la straordinarietà di Anastasio come artista, a conferma del fatto che dai talent, nonostante un certo pregiudizio di base (alle volte non campato in aria eh), in particolare quello targato Sky, non è che escano solo personaggini usa e getta.
Anastasio è un artista unico nel suo genere, anzi nel suo non genere, che non è un modo come un altro per dire che è bravo, è proprio che lui è l’unico a fare quello che fa. Non è un rapper della generazione tutta droga e donnine da maltrattare, non è un rapper affine ai cosiddetti “conscious”, non punta il focus su temi strettamente sociali; non è nemmeno musicalmente collocabile dentro una scena, dentro questo “Mielemedicina” troviamo tanto cantato, tanto suonato, produzioni ottimamente fatte ma che non rubano mai la scena come ormai siamo abituati a sentire nell’urban contemporaneo
Anastasio è un intellettuale vero e lo è con una semplicità quasi stralunata, come se fosse normale in un’epoca di pressapochismo assoluto costruire brani nei quali sgomitano citazioni alte, nei quali si traduce in musica l’angoscia personale e quella dell’uomo moderno come in “Assurdo”, che è un brano che davvero ti pizzica il cuore; brani nei quali ci si confronta face to face con il creato, come “Babele” o “Simbolismo”, oppure “Tubature”, una canzone nella quale Anastasio riesce ad incastrare nelle sue metriche al centimetro il pianoforte di Stefano Bollani. O “Magari”, un altro pezzo straordinario, in cui viene citato e rimaneggiato il poeta Massimo Ferretti (roba del tipo “La carezza sognata è un miracolo azzurro, quella vuota è solo un vento di mano”, per intenderci).
Ora, che questo intellettualismo alla fine risulti poco vendibile, ok, lo possiamo anche capire, anzi, da utenti proprio ci abbiamo fatto il callo e sappiamo che succede perché in qualche punto della storia, sospettiamo intorno alla metà degli ’80 del secolo scorso, qualcuno, evidentemente, ha fatto girare voce che intellettuale sia sinonimo di noioso; improvvisamente, dopo aver contribuito al successo di una generazione di cantautori impegnati, siamo diventati un paese in cui il cazzeggiamento, l’intrattenimento fine a se stesso, il disimpegno, sono irrinunciabili priorità. No. È inaccettabile.
Anastasio ci propone il lato più bello, alle volte, lo ammettiamo, dolorosamente bello, della nostra umanità, della nostra coscienza, di tutto quel groviglio di mondi che si intrecciano dentro di noi. E in quella bellezza, si, così complessa, così difficile, noi ci rispecchiamo. Un lavoro veramente eccellente, non per tutti ma che a tutti servirebbe; e chi crede il contrario e preferisce perdersi in un vuoto reggeaton, faccia pure, poi però ci dispensi dalle celebrazioni social dei Dalla e dei Battiato, false come monete da 3 euro, quando siamo un paese che non sa prendersi cura dei propri artisti quando vanno oltre quel mortificante “ci fanno tanto divertire”, come se l’arte non fosse nutrimento dell’anima o, se proprio vogliamo fare i pragmatici, un lavoro, ma una barzelletta.
Niccolò Carnesi feat. Dente – “Levati”
Nuova versione di un piccolo capolavoro che unisce due dei cantautori migliori del new pop italiano. Un pezzo che avanza in equilibrio tra rabbia e ironico distacco, quello che ci vorrebbe per togliersi di mezzo certe persone e la loro pericolosa e dolosa tossicità, attraverso il quale si dovrebbe smaltire quell’odio per il genere umano che ti scoppia nel cervello. Categoria: imperdibile.
Alessandro Fiori – “Amami meglio”
Ci mancava tanto Alessandro Fiori, ci mancava la sua irresistibile visione musicale, la sua capacità di rendere i disastri della vita così leggeri. Anche l’amore disinteressato di questo ultimo suo lavoro, descritto con tale poesia che, nonostante il disinteresse, ce ne innamoriamo ugualmente.
Chiamamifaro – “Pioggia di CBD”
Su una struttura del testo solida e regolare si stiracchia la voce ipnotica e sensuale di Chiamamifaro, tra i progetti più interessanti del new pop italiano. Il pezzo è stato scritto e prodotto (anche) da Riccardo Zanotti, frontman dei Pinguini Tattici Nucleari, e una volta letto il suo nome tra i riconoscimenti si percepisce immediatamente quell’accessibilità, quella sbrilluccicanza, che hanno fatto il successo della band bergamasca. È un pezzo che suona meravigliosamente bene, che nonostante la leggerezza affonda in una profondità che quasi prende forma e sostanza e ti abbraccia. Brava.
Carlo Corallo – “Amore, violenza, amore”
Rap pianoforte e voce per raccontare una storia d’amore tramite immagini nitide, chiare, comuni, rese pura poesia dalle barre del cantautorapper siciliano. Un brano emozionante che ci rinchiude tutti dentro le stesse prigioni di nostalgia, gli stessi ricordi, lo stesso umore. Bravissimo.
Varisco – “Poi (sabato)”
Una voce graffiata prestata al pop, stavolta anche con reminiscenze funky anni ’70. Tutto molto molto godibile e leggero, nonché inedito in Italia e, in tutta onestà, non se ne capisce il motivo, dato che l’ensemble funziona da Dio.
España Circo Este – “Prosecco”
Una delle più interessanti realtà del sottobosco musicale italiano torna con un brano dalla fortissima potenza evocativa, un pugno allo stomaco in effetti, perché anche pensieri elementari come la libertà, che dovrebbe essere un bisogno primario, un fuoco impossibile da spegnere che brucia nel petto, alle volte ci sfuggono di mano. Gli España Circo Este ci offrono una nuova prospettiva, le parole giuste per non lasciarci andare al flusso che ci vuole tutti ordinati, uguali, diffidenti. C’è un altro modo di stare al mondo e somiglia ad un brano degli España Circo Este e ci piace da matti.
I Dolori del Giovane Walter – “Truman Show”
Cantautorato morbido ma convincente, da raffinare lo stile, da smussare qualche spigolo di testo, ma particolarmente azzeccata l’interpretazione del brano, con questo cantato tirato, lamentoso e affascinante; buona più in generale l’idea di sound proposta, anni fa avrebbero spaccato utilizzando il dito mignolo del piede sinistro, oggi, e menomale, serve qualcosa in più, ma tutto ci dice che la miccia sia già accesa. Complimenti.
Giovani Telegrafisti – “Rosa mia”
Una sorta di cantautocountry, una roba mai sentita in Italia. I Giovani Telegrafisti si propongono così, con qualcosa di mai sentito, il suono del banjo, che ci porta subito alle Ammmeriche del Sud degli States, che tira i fili di un racconto romantico, quasi neomelodico, che ci risuona come una ballata del vecchio west; il tutto declinato alla siciliana, incastrato in una poetica tipicamente e meravigliosamente provinciale, e divertente, e anche maledettamente efficace. Non che non ci siano cose da aggiustare, forse una produzione più azzardata avrebbe potuto rendere il risultato un po’ più contemporaneo, ma magari nemmeno questo è l’intento del progetto; la cosa importante è che ad ascoltare questo pezzo ci si diverte da matti.
Source: agi