di Gianni De Iuliis
GOVERNO TECNICO?
I segnali della crisi di governo che sta angosciando l’opinione pubblica italiana si sono avuti già il 31 dicembre 2020, durante il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Le sue parole in quel frangente lasciavano trasparire una preoccupazione seria da parte del capo dello Stato, evidentemente allarmato dal clima politico teso. Infatti, dall’alto della sua esperienza, aveva capito che la crisi di governo era ormai alle porte: chiamò in causa il senso di responsabilità, parlò di «costruttori», invitò tutte le forze politiche a non sprecare «energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte».
Parole rimaste, in quel momento, inascoltate. Evidentemente Mattarella aveva compreso che il governo Conte II non avrebbe avuto più una maggioranza parlamentare; aveva altresì compreso che non ci sarebbero stati margini di manovra per ricucire e quindi invitava le forze politiche a dar vita a maggioranze differenti.
Sappiamo oggi che è stato buon profeta. Quindi ha proceduto secondo la normale prassi: ha affidato un incarico esplorativo al Presidente della Camera per verificare la possibilità di formare un governo che potesse contare su una maggioranza parlamentare. Di fronte al fallimento di tale tentativo il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto sciogliere le camere e indire nuove elezioni. In alternativa un Governo tecnico. Quest’ultima soluzione è stata scelta da Mattarella, innanzi tutto per evitare elezioni in tale contesto. Ha quindi incaricato Mario Draghi, che ha accettato e che da prassi scioglierà la riserva al termine delle consultazioni che sta effettuando in queste ore con i vari gruppi parlamentari.
Ma quello di Draghi sarà un governo tecnico? Un governo tecnico in teoria dovrebbe essere un esecutivo senza identità politica, appoggiato da un ampio arco costituzionale, formato da personalità dotate di competenze tecniche ed estranee alle stesse forze politiche, il cui obiettivo è quello affrontare l’emergenza senza i veti incrociati dei partiti, traghettando il Paese verso nuove elezioni. Governo tecnico è stato quello di Monti, un gabinetto formato nel novembre 2011 a seguito della crisi del Governo Berlusconi IV e in un contesto di grave crisi economica.
La sensazione che si avverte in queste ore è che l’esecutivo Draghi possa essere un gabinetto misto di politici e tecnici, una classica soluzione all’italiana che avrebbe come unico fine quello di rinviare le elezioni.
Questa crisi di palazzo, incomprensibile per gran parte dell’opinione pubblica, lontana dalle reali esigenze del Paese, forse imprevedibile anche per gli addetti ai lavori, sembra l’icona dell’autoreferenzialità che contraddistingue una classe politica estremamente distratta. In un contesto di pandemia, in una fase delicata in cui bisogna definire gli asset che sostanzino il Recovery Plan, in un momento estremamente topico per organizzare e far partire il piano dei vaccini, la politica decide di provocare una crisi di governo e nel contempo decide di auto commissariarsi, decidendo in ultima analisi di non decidere, di non amministrare, di non governare, lasciando campo libero a un tecnico esterno e magari continuando a fare campagna elettorale.
In verità ciò che è commissariata e depressa è la democrazia. Probabilmente la forza che ha riscosso più consensi all’ultima tornata elettorale passa all’opposizione e il governo è appoggiato da gruppi politici totalmente distanti tra di loro, senza alcuna contiguità programmatica e senza alcuna affinità ideologica.
Il voto degli elettori italiani non è tenuto in considerazione e la decisione di Mattarella, sicuramente presa in assoluta buonafede, sicuramente dettata dall’esigenza di evitare elezioni in tale emergenza sanitaria, sicuramente ispirata dalle scadenze politico-amministrative in cui è impegnata l’Italia (Recovery Plan, contrasto all’emergenza sanitaria, piano vaccini), è stata accolta dalla classe politica con gran sollievo: si rimanderanno le elezioni politiche di almeno un anno (teniamo conto che a fine luglio comincia il semestre bianco, ovvero i sei mesi che precedono l’elezione del nuovo capo dello Stato e durante i quali non possono essere sciolte le Camere).
Gli scenari possibili:
- Un governo tecnico «di scopo» che duri in carica almeno un anno, che porti a termine il piano vaccini e il Recovery Plan, totalmente svincolato dalle forze politiche e che traghetti l’Italia verso elezioni politiche anticipate, che si terrebbero entro la primavera del 2022;
- Un governo misto di tecnici e politici che duri fino alla fine delle legislatura, che rischia di essere ostaggio delle diverse forze politiche;
- Scioglimento delle camere ed elezioni anticipate.
Nel primo caso avremmo un congelamento della democrazia e l’affermarsi di un modello tecnocratico e postdemocratico che porterebbe avanti un’azione amministrativa fatalmente estranea alle ragioni della politica.
Nel secondo caso avremmo un pasticcio istituzionale che stritolerebbe Draghi, con un continuo assalto alla diligenza e un’assoluta ingovernabilità.
L’ultimo caso sarebbe quello più logico e democratico. Ma fra i tanti cadeaux che ci lascia in dote il Coronavirus, oltre alle vittime, alla crisi economica e sociale e alle pericolose mutazioni antropologiche dell’individuo occidentale, bisogna annoverare anche l’annientamento della logica e della democrazia.