Crisi del gas: non basta mitigare gli effetti, occorre andare alle cause dell’aumento dei prezzi


Un’analisi dei limiti delle proposte avanzate dalle forze politiche italiane per fronteggiare la drammatica emergenza che rischia di mettere definitivamente in ginocchio le famiglie e il mondo produttivo

 

di Renato Costanzo Gatti

 

Faccio seguito ad un mio precedene articolo sul prezzo del gas per raccomandare in primis di leggere su la voce.info cosa significhi “price cap” nelle sue variate applicazioni, in secundis vorrei commentare le proposte del PD sull’argomento.

Durante la trasmissione “L’aria che tira” del 30 agosto il rappresentante del Pd Verini, ha esposto, oltre alla incrollabile fiducia nell’operato di Draghi, cinque punti per affrontare il problema:

  1. Aiuti diretti alle famiglie più disagiate;
  2. Defiscalizzazione alle imprese più energivore;
  3. Riduzione dei tempi e delle temperature ammesse per l’inverno;
  4. Disgiungere il prezzo di formazione del gas da quello di altre fonti energetiche;
  5. Portare avanti in Europa la proposta del price cap.

Vediamo allora di esaminare i vari punti:

  1. Gli aiuti alle famiglie significano un aumento delle uscite senza indicare come reperire i fondi, aumentando quindi deficit e debito. Ricordo che il governo Conte due ha deliberato uscite per 140 miliardi ed il governo Draghi ne ha deliberati altri 40. Un totale di 180 miliardi pari quasi ai prestiti che l’Europa ci fa con il PNRR. Siamo oggetto di un possibile attacco speculativo da parte della finanza internazionale e la proposta del PD non facilita certo la situazione. Stranamente non si parla della tassazione degli extraprofitti delle imprese energetiche (ma con le armi che forniamo all’Ucraina non ci sono extraprofitti anche nelle imprese belliche?), forse perché spaventati dai ricorsi che imprese possedute dalla CDP (Cassa depositi e prestiti) e dal ministero dell’economia stanno intentando sostenendo (con elementi concreti) l’incostituzionalità del provvedimento.
  2. La defiscalizzazione a favore delle imprese più energivore non costituisce un aumento di spesa ma rappresenta una diminuzione delle entrate: il risultato è lo stesso, una pressione sul deficit. Ma c’è da chiedersi se la proposta defiscalizzazione costituisce un rimedio al fallimento del mercato che va a carico dei contribuenti oppure significa un investimento dello Stato, della collettività in un sistema imprenditoriale che è incapace, per deficienza del capitalismo nostrano, di sopravvivere. Già con i sussidi industria 4.0 la collettività regala soldi al capitale, se ci aggiungiamo anche i soldi per l’energia, lo Stato e la collettività diventano investitori fondamentali e tale status dovrebbe essergli riconosciuto trasformando i regali in azioni sociali, rivoltando dopo lustri quella svendita di imprese pubbliche basata sull’allontanamento dello stato dall’azione economica che sta evidenziando tutta la miopia di quell’assunto.
  3. La limitazione dei tempi e modi di riscaldamento è un provvedimento condivisibile ma rimane sempre limitato nell’ambito di mitigare gli effetti dell’aumento dei prezzi del gas senza andare alle cause di quell’aumento. Curare gli esiti e non le cause non è una politica vincente, è un rimedio sterile.
  4. Che le quotazioni del TTF, il mercato della speculazione europea, determinino il prezzo dell’energia prodotta, non solo con il gas, ma anche con altre fonti, idroelettrico, eolico, solare, nucleare è una follia del sistema attuale di determinazione del prezzo in bolletta. Giustissima la proposta, ma perché non pensare di tornare, come prima dell’ottobre 2013, al sistema di far riferimento ai costi effettivamente pagati con i contratti a lungo termine e non ai prezzi spot del casinò del TTF?
  5. Il price cap, supponendo che sia corretto il significato che io do a questa pratica, consiste nell’opporre ad un monopolista dell’offerta, un monopsomio della domanda (accentramento della domanda da parte di un solo soggetto economico con l’impossibilità per altri acquirenti di entrare sul mercato) andando ad una prova di forza tra le due parti. È pacifico che il prezzo del gas è in questo momento uno strumento bellico, un’arma tra le più potenti e deflagranti; la Russia ha il grande potere di gestire il suo monopolio (anche se non è globale) per determinare l’offerta di gas operando sulle quotazioni del TTF; l’Europa tutta unita (e non è così sicuro che lo sia) si costituisce in monopsomio e opporrebbe alla prepotenza della Russia l’opposizione di non pagare più di una certa cifra, puntando sul fatto che il gas, senza gasdotti, non potrebbe essere venduto dalla Russia ad altri (per almeno il tempo necessario a costruire gasdotti).

La creazione di uno scontro frontale fra monopolio e monopsomio è a mio parere un altro modo di incrementare i motivi di scontro tra occidente e Russia, di esasperare l’attacco degli USA alla Russia usando come mezzo una Europa incapace di elevarsi a soggetto autonomo che guarda soprattutto ai suoi interessi.

 

Nel frattempo, Biden chiede al Congresso l’ok per vendere a Taiwan 1,1 miliardi di armi e manda due navi da guerra ad attraversare il canale tra Cina e Taiwan, e la NATO fa esercitazioni in Georgia con la presenza di Giappone e Svezia.