Covid e Brexit, il doppio shock sull'export italiano in caso di no-deal  


AGI – Da mercato traino per l’export italiano a fanalino di coda per la ripresa. E’ questo lo scenario che si verrebbe a creare in caso di una uscita del Regno Unito dall’Ue senza accordo. Una eventualità, neanche troppo remota, che si andrebbe a sommare alla già pesante crisi pandemica mettendo così in atto un vero e proprio ‘doppio shock’ per le esportazioni Made in Italy verso il Regno Unito. A scattare questa fotografia è il Chief Economist di Sace, Alessandro Terzulli, in una intervista esclusiva ad AGI per commentare lo studio sugli effetti della Brexit

Gb, da mercato trainante a possibile fanalino di coda

“Se guardiamo a quello che è successo dopo la crisi finanziaria globale, il Regno Unito era stato un mercato molto vivace per la ripresa del nostro export. Anche escludendo il biennio 2010-2011, chiaramente  di forte rimbalzo delle esportazioni nell’era post-crisi, dal 2012 in poi abbiamo avuto da subito dei tassi di crescita del nostro export nel Regno Unito significativi al punto di dire che la ripresa nei paesi europei in senso allargato era partito dalla Gran Bretagna. Era un mercato trainante“. 

Uno scenario positivo che si è andato consolidando nel tempo. “Negli ultimi sette anni, dal 2012-2019, il nostro export è cresciuto in media nel Paese al +4,5% l’anno, arrivando nel 2019 a 25 miliardi di euro e diventando il quinto mercato di destinazione per l’Italia“, spiega Terzulli. Ci si potrebbe aspettare un discorso simile per la ripresa post pandemica, “ma in realtà ci sono indicazioni totalmente contrarie”. Il paese d’oltremanica, infatti, è stato colpito dalla pandemia abbastanza profondamente e nonostante la politica monetaria e fiscale siano di supporto, a livello sanitario il Regno Unito è rimasto più indietro.

Con il doppio shock, ulteriore riduzione dell’export

“In una logica di solo shock pandemico seguito da un accordo, come evidenzia il nostro scenario base, il tasso di crescita atteso per il 2021 sarebbe del 5,3%. Avremmo quindi una ripresa discreta nel 2021 con accordo, non paragonabile certo a quella che abbiamo avuto dopo la crisi finanziaria globale, ma dopo un -14,8% prevediamo +5,3% nel 2021 e +6,8% nel 2022”. Se a questo però si aggiunge un no deal, “il Regno Unito, sostanzialmente, diventa un mercato a più lenta ripresa, questo non è da sottovalutare perché nel 2019 ha rappresentato per noi 25 miliardi di export. Con il doppio shock, dopo il -14,8% nel 2020 avremo un’ulteriore riduzione export di beni in valore nel 2021” con i prodotti italiani che subirebbero una contrazione del 12,1%. 

Secondo l’economista di Sace, “la ripresa, che sarebbe rimandata al 2022 sarebbe comunque abbastanza lenta perché nel 2022 quello che il nostro modello ci dice è che il nostro export crescerebbe del 4,8%. Non è male come tasso storico, ma dopo due anni pesanti è una ripresa fiacca. Gli effetti di questo no deal potrebbero protrarsi più a lungo in termini di una domanda che rimarrebbe debole a lungo, non esprimendo quella vivacità che abbiamo visto nella post crisi finanziaria ma crescerebbe molto molto lentamente”.

Ma, considerando che il doppio shock dovrebbe in caso avvenire nel 2021, almeno a livello complessivo l’effetto di un no deal sulle esportazioni complessive del Made in Italy “sarebbe in parte compensato da un avvio della ripresa negli altri mercati“.

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Fonte: economia agi