Cos'è rimasto del Pci a sinistra secondo Piero Fassino


AGI – La sinistra italiana è ‘permeata’ dall’eredità delle battaglie e delle idee del Pci. Piero Fassino (Pd), intervistato dall’AGI, ha tracciato un quadro del Partito comunista, e del suo retaggio, nel centenario della fondazione. L’ex sindaco di Torino, che si è cimentato con la storia del Pci nel libro ‘Dalla rivoluzione alla democrazia. Il cammino del Partito comunista italiano (1921-1991)’, ha sottolineato come sia “significativo che il centenario del Pci sia stato occasione per convegni, conferenze, reportage giornalistici. La sua impronta nella politica italiana è rimasta, se ne discute consapevoli che ha lasciato un’eredità”. Tra i retaggi fondamentali, Fassino cita “il valore della democrazia, che non è mai scontato. Basta pensare a cosa succede in paesi come Polonia, Ungheria, Russia e Turchia”.

Inoltre, l’eredità del Pci si coglie riuscendo a “rappresentare e difendere la democrazia rappresentative, naturalmente aggiornandola e arricchendola”. E poi ci sono tutti quei “valori che il Partito comunista ha rappresentato: uguaglianza, solidarietà, giustizia sociale e dignità umana. Questi valori non sono venuti meno, sono cambiate le forme in cui ci si organizza per rappresentarli, ma i valori in quanto tali non cambiano”. Ed “oggi è un dovere delle forze politiche, in particolare di chi si ispira a quei valori, essere capace di rappresentarli e affermarli”.

Il ‘Partito di massa’

Il Partito comunista, aggiunge l’ex sindaco di Torino, “è stato la rappresentazione più compiuta del partito di massa, che ha milioni di iscritti, una presenza in tutto il territorio nazionale, una scuola formazione”. Dunque, “al modello partito di massa del Pci si sono ispirati un po’ tutti. Poi con la crisi della Prima Repubblica, quella forma di partito è apparsa superata e vediamo venir avanti altre forme: il partito digitale, il partito azienda, il partito populista; ma sono forme fragili”.

Il partito di massa, spiega Fassino, “era ispirato da un’idea, rendere i cittadini partecipi e protagonisti attivi della politica, mentre quelle altre forme non sono ispirate da questa idea, per loro i cittadini sono soggetti passivi destinatari di messaggi, sono un serbatoio elettorale”. Per l’ex sindaco di Torino “se i partiti e la politica vogliono tornare ad avere un rapporto con la società, devono tornare all’idea di rendere protagonisti i cittadini. Questo senza nessuna nostalgia, naturalmente oggi un partito di massa non può essere quello che era 30-40 anni fa. Ma l’idea deve essere chiara: rendere cittadini protagonisti”. 

Il 1968

Fassino ha aderito al Partito comunista nel 1968, “all’indomani della condanna del Pci dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia”. “Vengo da una famiglia socialista – sottolinea – e la mia simpatia verso Pci c’era già prima, però la molla che mi ha indotto ad iscrivermi è stata quella”. Principale merito del partito nato a Livorno nel 1921 è che “era nato per fare la rivoluzione, come in Russia, ma poi lungo i suoi 70 anni di vita è diventato un cardine della democrazia”. E’ stato “protagonista della storia italiana, contribuendo ai passaggi fondamentali: la lotta al fascismo, la Resistenza, la scrittura della Costituzione, la costruzione della Repubblica e la difesa dello Stato dallo stragismo nero e dal terrorismo rosso”. Insomma, “è stato un partito che via via ha sempre di più assunto la democrazia come valore fondante della sua attività”.

Luci e ombre

Poi, come in ogni storia, oltre alle luci ci sono anche le ombre: “La storia di un partito – dice l’ex sindaco – è fatta di coerenze ed incoerenze, scelte giuste e coraggiose ed errori. Se vogliamo indicare il passaggio più critico fu quello della mancata condanna dell’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956. Il Pci, condizionato dalla guerra fredda e dai suoi rapporti con l’Urss, non ebbe la forza di condannare, ma subì e avallò l’invasione. Io l’ho chiamato ‘l’infarto del 56′”. Però il Partito, “subito dopo nell’ottavo congresso lanciò la via italiana al socialismo, in cui disse che non si voleva fare in Italia quello che si era fatto altrove”.

Lo scontro con Craxi

Lo scontro più duro a sinistra si ebbe negli anni ’80 e vide opposto il Pci al Psi guidato da Craxi. “Il rapporto negli anni ’80 – ricorda Fassino – fu complesso e ci furono anche momenti conflittuali aspri, per responsabilità di entrambe le forze politiche. Craxi quando divenne segretario del Psi decise di lanciare una doppia sfida: alla Dc per l’egemonia nel governo e al Pci per l’egemonia a sinistra. In nome di questa duplice sfida, sviluppò una azione politica molto competitiva e conflittuale. Il Pci si misurò con quella sfida e questo portò a momenti conflitto aspro”.

La negazione del pluralismo della sinistra

Secondo l’ex sindaco, “il vero problema è che ogni forza politica della sinistra ha avuto la tendenza a non riconoscere la pluralità della sinistra e a pretendere da sola di rappresentarla tutta. Mentre bisogna riconoscere questo profilo plurale come valore e non come problema”. Questo per “liberarsi dall’idea, che ciascuno ha avuto, di voler rappresentare tutta la sinistra, negando l’altro. Negli anni ’80 pesò questo male oscuro, questo approccio in entrambi i partiti di non voler riconoscere la pluralità come un valore e, su questa pluralità, costruire un’alleanza e non una competizione”.

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Fonte: politica agi