Ventisei parole. Poco più di una riga. Per molti racchiudono il senso stesso di Internet per come lo abbiamo conosciuto finora. Sono le parole di un comma, inserito nella ‘Sezione 230’ del Communications Decency Act, la legge contro cui Donald Trump ha scagliato una poderosa offensiva, arrivando a minacciarne l’eliminazione.
Recita così: “Nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi”.
Su questa regola, concordano in molti, si è costruita la fortuna dei social network e ha dato forma a Internet, nel bene e nel male. Ed è questa regola che Trump ha deciso di abolire dopo uno scontro durissimo con le piattaforme, colpevoli a suo dire di avere un innato pregiudizio verso i politici di destra.
REVOKE 230!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump)
May 29, 2020
La Sezione 230 per molti è la legge più importante su Internet. Il comma è stato inserito nel 1996, agli albori dell’ascesa globale della rete. È opinione diffusa che sia proprio questo comma l’origine della fortuna di molti dei paperoni della rete.
La 230 di fatto sancisce che le piattaforme non sono responsabili di ciò che viene pubblicato da altri su di loro. Non solo: dà anche alle società che le gestiscono ampia discrezione nel modo in cui moderano i post e gli altri contenuti. Finora nessuno poteva citare in giudizio Facebook, Twitter o YouTube in caso di post controversi, o rimossi. Ora, venuto meno lo scudo della 230, sarà possibile farlo.
L’origine della Sezione 230
Ma da dove ha origine questa regola? Lo ricorda Jeff Kosseff nel suo ’26 words that created the Internet’. California, anno 1956. Un libraio vende un libretto erotico a due agenti sotto copertura. Viene denunciato e portato in tribunale perché ritenuto colpevole di diffusione di materiale osceno. In tribunale la sua difesa fu: “Io quel libro non l’ho mai letto, non sapevo di che trattasse, come non so di cosa trattano centinaia di libri nel mio negozio”.
Venne assolto, e il principio stabilito: chi distribuisce contenuti non ha responsabilità sui contenuti stessi, altrimenti si violerebbe il primo emendamento della Costituzione americana oltre ad arrecare un notevole danno economico all’indotto dell’editoria.
Da allora è cambiato un po’ tutto, ma il principio che regola i distributori di contenuti di terze parti è tutto sommato lo stesso, anche oggi che sono per lo più digitali. Ed è lo stesso principio che finora ha regolato i social.
Il ruolo dei social nella moderazione dei contenuti
Finora le aziende non hanno avuto alcun obbligo di controllo preventivo e non c’è responsabilità se il gestore della piattaforma si limita a ospitare contenuti di altri. Un po’ come avviene per le telco durante una telefonata, o una piattaforma durante una videoconferenza: c’è uno scambio di dati per cui si fornisce solo l’infrastruttura.
Non è un caso che durante uno dei suoi ultimi interventi pubblici, Mark Zuckerberg ha ricordato che i social si trovano in un terreno ancora da regolamentare, da esplorare, a metà tra una società editrice e una di telecomunicazioni. Finora in questa terra di mezzo hanno prosperato. Trump potrebbe radicalmente cambiare la partita. Cancellando 26 parole.
Vedi: Cos'è la 230, le ventisei parole alla base di Internet che Trump vuole cancellare
Fonte: estero agi