AGI – Google sta per lanciare un nuovo motore di ricerca. Una tecnologia che, grazie all’intelligenza artificiale, sarà in grado di dare risposte precise a domande sempre più complesse. Per Mountain View ‘Mum’, questo il nome del software, un acronimo che sta per ‘multitask unified model’, è destinato a cambiare radicalmente il modo in cui siamo abituati a usare il motore di ricerca, perchè questo sarà in grado di comprendere meglio i desideri degli utenti, restituendo risultati sempre più precisi.
COS’È MUM
Mum, che in italiano possiamo rendere come ‘modello unificato di operazioni svolte contemporaneamente’, è progettato per comportarsi un po’ come il cervello umano: apprende dal tipo di ricerche che facciamo, dalle parole che usiamo, cerca di capire le nostre intenzioni ‘profonde’ per restituire risultati sempre più aderenti ai nostri desideri. Ma, come ogni innovazione, porterà benefici che nascondono un lato oscuro. E per i critici è rappresentato dal fatto che potrebbe diventare un modo per chiudere gli utenti sempre più nella galassia Google. Molto di più di quanto già succede oggi.
“Pensiamo che siamo prossimi a una nuova grossa pietra miliare”, ha detto al Financial Times Pandu Nayak, capo di Mum. Che si dice sicuro di una cosa: questa tecnologia darà risposta a “migliaia di domande confuse e ambigue che le persone si chiedono tutti i giorni”, ma che al momento non hanno formulato in modo diretto, chiaro e distinto.
RICERCHE MIGLIORATE
Un esempio? Che tipo di scuola è meglio per i propri figli, spiega, o come individuare la sensazione di dover cominciare un nuovo regime alimentare, o di allenamento: “Qualcuno potrebbe domandarsi qual è il miglior regime di fitness al mio livello di forma fisica ed età”, spiega Nayak. Attualmente, per trovare risposta a domande cosi’ precise “è necessario fare diverse domande al motore di ricerca, e provare a incrociare le informazioni ricevute per avere da Google la risposta che si desidera”, ragiona il manager. Ma il futuro delle ‘query’ con Mum è destinato a risposte a bisogni “sempre più complessi da formulare, e sempre più realistici”.
COME SI È ARRIVATI A MUM
Mum è il risultato di un decennio di sviluppo di knoledge graph (grafo della conoscenza), una funzione introdotta da Google nel 2012 sul motore di ricerca, che consente di definire la relazione tra concetti diversi, oggetti diversi, dando agli algoritmi un certo grado di comprensione semantica delle ricerche, in altri termini ‘umanizzandone’ la comprensione.
Comprensione semantica che è stata gradualmente migliorata, fino a essere inserita in un altro progetto del colosso della Silicon Valley: RankBrain, un programma di machine learning lanciato nel 2015 pensato per migliorare i risultati del motore di ricerca.
L’evoluzione di questa tecnologia ha portato prima al lancio di Bert (Bidirectional encoder representations for transormer), arrivato in Italia nel 2019, che in sostanza consentiva all’algoritmo di ‘intuire’ cosa un utente stava cercando anche quando sul motore di ricerca venivano formulate frasi intere, o ricerche con parole non esatte. Mum, presentato lo scorso maggio durante l’annuale conferenza degli sviluppatori, ne è la naturale evoluzione. Ma circa 1.000 volte più potente.
I DUBBI MERCATO PUBBLICITARIO
La ricerca testuale è solo l’inizio. Mum, spiega Google, sarà in grado d’incrociare ricerche che riguardano testo, audio, foto e video: un modo completamente diverso d’intendere la ricerca online. Obiettivo: trovare una razionalità nei desideri indistinti, una logica nel vago.
Mum metterà i nostri desideri su assi cartesiani, e li renderà coerenti ai nostri occhi. Con potenzialità enormi anche sul mercato pubblicitario, la benzina che alimenta un po’ tutto il motore di Mountain View.
E chi la fornisce determinerà alla fine il successo o meno di questa tecnologia: alcuni dubitano infatti che ricerche più precise e dirette potrebbero comportare una diminuzione delle ricerche stesse, quindi una diminuzione delle pubblicità. Ma per Google non ci sono dubbi: ricerche più precise vuol dire pubblicità più mirate. La storia finora gli ha dato ragione.
Source: agi