Cosa succede negli Stati Uniti su aborto e matrimoni omosessuali

WASHINGTON, DC - OCT. 2, 2021: Women's March in Washington demanding continued access to abortion after the ban on most abortions in Texas, and looming threat to Roe v Wade in upcoming Supreme Court.


La bozza del giudice Alito segue un approccio originalista che, se dovesse prevalere nella Corte, non metterebbe a repentaglio solo l’aborto. Altri diritti già riconosciuti potrebbero infatti essere revocati, tra cui il matrimonio omosessuale

di Chiara Bologna

Il 2 maggio 2022 è stata pubblicata sulla rivista online politico.com la bozza provvisoria dell’opinione di maggioranza redatta dal giudice Alito per il caso Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, nel quale la Corte suprema è chiamata a esaminare la costituzionalità della legge del Mississippi che vieta l’interruzione di gravidanza dopo la quindicesima settimana di gestazione anche nei casi di stupro e incesto, prevedendo eccezioni solo in presenza di «emergenze mediche» e «gravi anomalie fetali».  
La legge è evidentemente in contrasto con quanto stabilito dalla stessa Corte suprema nel caso Roe v. Wade del 1973, nel quale la Corte riconobbe che il diritto alla privacy, protetto tramite la clausola del due process contenuta nel XIV emendamento, includeva il diritto all’interruzione di gravidanza. Pur non negando l’interesse legittimo degli Stati a proteggere sia la salute della gestante sia «la potenzialità della vita umana», sette giudici su nove sostennero che «il peso di ciascuno di questi interessi varia nel corso della gravidanza» e che nel primo trimestre di gestazione lo Stato non può incidere sulla decisione di interrompere la gravidanza, che spetta unicamente alla donna e al suo medico curante. Nel secondo trimestre lo Stato può invece porre limiti all’interruzione di gravidanza che siano «ragionevolmente legati alla salute della madre» e, nel terzo trimestre, una volta che il feto raggiunga la viability, la «capacità di sopravvivere», lo Stato può regolamentare l’aborto anche proibendolo del tutto, salvo eccezioni che si rendano necessarie per salvare la vita o la salute della madre. Questa decisione storica, che garantisce da quasi mezzo secolo il diritto di interrompere non in clandestinità la gravidanza, è formalmente overruled, superata, nella bozza di opinione redatta dal giudice Alito, che ha infiammato il dibattito pubblico statunitense, avviando ovunque manifestazioni in sostegno del diritto all’aborto.
Il primo fatto eclatante è ovviamente la stessa pubblicazione della bozza: il Chief Justice Roberts, assicurando che quanto accaduto non influenzerà il lavoro della Corte, ha comunicato ufficialmente l’avvio di un’inchiesta interna per individuare la persona che ha diffuso il testo. Come ha sottolineato Erwin Chemerinsky, docente all’Università della California, «nessuna opinion della Corte è mai stata svelata in questo modo, né mai è stata avviata un’inchiesta interna di questo tipo». La consegna della bozza della decisione a un organo di informazione tradisce in particolare la possibile presenza di aspri conflitti all’interno della Corte, composta attualmente da sei giudici di nomina repubblicana e tre di nomina democratica. L’episodio, inoltre, amplifica la crisi di legittimazione del supremo organo giudiziario statunitense, le cui decisioni vengono crescentemente percepite come dettate dai desiderata ideologici dei giudici, più che da solidi argomenti giuridici. Questa lettura dell’operato della Corte, non sempre rispondente alla realtà, è stata peraltro una delle principali cause dell’istituzione, da parte del presidente Biden, di una Commissione per la riforma della Corte stessa.
La consegna della bozza a un organo di informazione tradisce la possibile presenza di conflitti nella Corte e amplifica la crisi di legittimazione del supremo organo giudiziario
Ancor più eclatanti sono tuttavia le conseguenze giuridiche (e sociali) di un superamento dell’esistente giurisprudenza sull’interruzione di gravidanza: nella stessa opinion di Alito, infatti, la legge del Mississippi, che fino a poche settimane fa sarebbe stata considerata palesemente in contrasto con il diritto all’aborto, viene considerata conforme alla Costituzione. L’influenza culturale e giuridica della decisione rischia di arrivare oltre i confini degli Stati Uniti, come sembra dimostrare l’insolita presenza di un (accorato) amicus curiae di giuristi europei a sostegno della giurisprudenza Roe.
L’argomentazione centrale che Alito propone per lo storico revirement giurisprudenziale è un topos del pensiero costituzionalistico conservatore, quello che lo stesso giudice definisce abuse of judicial authority, l’invasione della sfera del potere legislativo operata dalla Corte suprema nel caso Roe: la Corte, nel 1973, riconoscendo un diritto all’interruzione di gravidanza in assenza di riferimenti nel testo costituzionale, si è sostituita, secondo Alito, ai legislatori di ciascuno Stato, «interrompendo un processo politico» che stava gradualmente, nel rispetto della volontà del popolo e dei suoi rappresentanti, conducendo all’approvazione di leggi che riconoscevano e disciplinavano il diritto all’interruzione di gravidanza. Evidente è l’eco della teoria originalista dell’interpretazione della Costituzione, che ha avuto tra i suoi sostenitori più raffinati Antonin Scalia, il quale sosteneva la necessità di interpretare la Costituzione non in modo evolutivo, riconoscendo nuovi diritti non previsti nel testo, ma rispettando il testo stesso e l’original intent dei costituenti. Se la Costituzione non è solo una norma «ma un invito ad applicare i valori sociali contemporanei» – scriveva Scalia – «per quale motivo dovremmo credere che questo invito sia rivolto ai giudici piuttosto che al potere legislativo?». È proprio al potere legislativo e in particolare a quello di ciascuno Stato che guarda il giudice Alito: pur sotto traccia, è infatti presente anche il tema del federalismo, della protezione dell’autonomia costituzionale degli Stati federati, tradizionalmente considerati titolari del police power, il potere di «regolare i diritti personali e proprietari per proteggere e promuovere la salute, la moralità e il benessere generali».
Gran parte dell’opinion è poi dedicata al principio, fondante nei sistemi di Common law, del binding precedent, l’obbligo per i giudici di rispettare i precedenti giurisprudenziali. A questo obbligo Alito propone di sottrarsi, indicando le condizioni che rendono legittimo l’overruling, il superamento di decisioni assunte in passato dalla Corte suprema. La scarsa qualità dell’argomentazione giuridica del caso Roe, la difficoltà di applicare tale giurisprudenza a casi concreti, gli effetti negativi su altre aree del diritto, la mancanza di un legittimo affidamento creato dalla decisione, ma soprattutto la gravità dell’errore commesso, consistente in un atto di «usurpazione del potere del popolo», suggeriscono, secondo il giudice, l’opportunità di superare questo precedente. Invocando i fondamenti delle teorie originaliste, dunque, Alito considera le decisioni assunte dalla Corte sull’interruzione di gravidanza un vulnus al principio democratico che deve essere sanato.
La giurisprudenza della Corte suprema, tuttavia, ha in molte occasioni accolto invece un approccio extratestualista, sposando l’idea di una Living Constitution, una Costituzione vivente che evolve con la società cui si applica. In virtù di questo approccio la Corte ha riconosciuto, attraverso la due process del XIV emendamento, anche diritti non previsti esplicitamente nel testo. Con tale dottrina il giudice Alito non può non confrontarsi, ed è in questo confronto che la sua argomentazione giuridica appare più fragile. La clausola del due process, come Alito ricorda, è stata utilizzata dal giudice costituzionale statunitense per riconoscere protezione costituzionale a quei diritti che, pur non indicati nel testo, sono «profondamente radicati nella storia e nella tradizione» del Paese e sono considerati essenziali «nel nostro schema di libertà». L’aborto, spiega il giudice, nel 1973, non era radicato né nella storia né nella tradizione degli Stati, ma anzi criminalizzato in molti di essi e nei principi fondamentali del Common law: il riconoscimento di un diritto costituzionale all’interruzione di gravidanza fu dunque, semplicemente, judicial policymaking, ovvero una «decisione politica assunta dal potere giudiziario».
Se tuttavia un radicamento storico, come Alito sostiene, avrebbe potuto essere considerato assente nel 1973, quando l’interruzione di gravidanza era però inclusa in un modello culturale e sociale ormai mutato dalle battaglie femministe di quegli anni, è più difficile sostenere che oggi, dopo mezzo secolo in cui tale diritto è stato riconosciuto in tutta la federazione, esso possa facilmente essere escluso dallo «schema di libertà» della società contemporanea statunitense.
Il modello ermeneutico proposto nella bozza del giudice Alito, che rischia di liquidare l’interpretazione evolutiva della Costituzione come una palese violazione del principio della separazione dei poteri, potrebbe costituire una svolta epocale non solo per l’interruzione di gravidanza: nonostante il giudice Alito sottolinei prudentemente la specificità dell’aborto che coinvolge «la potenzialità» di un’altra vita umana e che implica il più drammatico dei bilanciamenti, è difficile non ipotizzare che, se prevalesse nella Corte questo approccio originalista, altri potrebbero essere i diritti già riconosciuti dai giudici supremi e destinati a essere «revocati», non ultimo il diritto al matrimonio omosessuale. In pochi credono che il contenuto dell’opinione di maggioranza sarà radicalmente cambiato; l’intervento di altre voci (e penne) della maggioranza della Corte potrà attenuare l’asprezza delle censure nei confronti dei precedenti giurisprudenziali, ma «sia che venga emesso in un guanto di velluto o meno, sarà un pugno di ferro», che accoglie una teoria fortemente restrittiva nel riconoscimento di diritti non contenuti nel testo costituzionale, un testo, vale la pena ricordarlo, approvato nel 1787.

Fonte: La Rivista del Mulino