Cosa scrivono gli altri (Il Fatto quotidiano – L’antitrust Ue fa fatica a stanare Amazon: algoritmi poco chiari)


L’indagine per abuso di posizione dominante procede a rilento per limiti tecnici e di legge

Il Fatto Quotidiano

14 marzo 2021

Virginia Della Sala

Due anni di indagini e approfondimenti che potrebbero culminare in un nulla di fatto o comunque in una sanzione a basso impatto: l’antitrust europea, ha raccontato qualche giorno fa il Financial Times, sarebbe preoccupata per le prove raccolte contro Amazon relative all’accusa di abuso di posizione dominante sul mercato. Per la precisione, sono preoccupati per le prove che non sono riusciti a raccogliere, a causa dell’impene trabilità degli algoritmi della piattaforma e delle omissioni, legittimate dal segreto industriale, sulle informazioni richieste.

LE INDAGINI preliminari erano iniziate a luglio del 2019, quando l’autorità di regolamentazione per la libera concor– renza ha accusato il gigante dell ’ e-commerce mondiale di favorire l’esposizione di propri prodotti a discapito di quelli dei venditori autonomi che utilizzano la piattaforma come “ve trina”, ovviamente pagando la loro quota. Tra le accuse ci sarebbe anche quella sull’utilizzo di dati sensibili dei venditori terzi: vi è il sospetto che l’algoritmo che assegna la buybox (il pulsante “compra ora ” dal quale transita l’80% delle vendite) favorisca le offerte di Amazon che infatti – come raccontato qualche mese fa proprio qui sul Fatt o – con meno del 10% dei listings genera il 45% dei ricavi, e che dia priorità ai seller che ricorrono ai servizi di spedizione di Amazon (pagano commissioni più alte). A novembre, dunque, è stata ufficializzata l’indagine: Amazon ha 2,3 milioni di venditori globali di terze parti e li utilizzerebbe per ostacolare i concorrenti, nonché per tenere in ostaggio i venditori. “Dobbiamo garantire che le piattaforme a doppio ruolo con potere di mercato, come Amazon, non distorcano la concorrenza – aveva spiegato il commissario europeo alla Concorrenza, Margrethe Vestager – I dati sull’attività di venditori di terze parti non devono essere utilizzati a vantaggio di

Amazon quando questa agisce come concorrente degli stessi venditori. Anche le condizioni di concorrenza sulla piattaforma Amazon devono essere eque”.“non siamo d’accordo con le affermazioni preliminari della Commissione europea e continueremo a impegnarci per assicurare un’acc urata comprensione dei fatti” aveva ribattuto l’allora Ceo, Jeff Bezos, da qualche mese passato a occuparsi di come portare Amazon nel futuro.

Eppure, secondo il Financial Times, i funzionari Ue stanno ancora lottando per capire come funziona l’algoritmo, nonostante abbiano inviato domande dettagliate all’azienda sui criteri utilizzati per aumentare la visibilità di un prodotto. Tra i diversi problemi, anche il non riuscire a visualizzare direttamente il codice proprietario del rivenditore a causa delle barriere legali sui segreti commerciali. Insomma, le cosiddette “scatole nere” degli Over the top sono un bel problema. Gli algoritmi sono complessi “per natura” e lo diventano ancora di più in caso di informazioni incomplete. Certo, Bruxelles non ha il compito di dettare le caratteristiche dello strumento (anche se in parte, coi nuovi regolamenti in itinere, è ciò che si prova a fare), l’azienda deve dimostrare che dia risultati equi. Ma se la narrazione dell’azienda appare coerente, diventa difficile controbattere senza prove tangibili.

Molto meno problematico, infatti, è il caso dell’indagine contro Apple: l’antitrust è pronta a mettere Cupertino formalmente sotto accusa per aver distorto la concorrenza nello streaming di musica. L’indagine, partita da una denuncia della piattaforma di musica online rivale Spotify, sta infatti per essere conclusa. Anche in questo caso si tratta di una inchiesta durata due anni: ad aprile del 2019, la svedese Spotify aveva denunciato Apple per aver limitato l’accesso ai servizi di streaming musicale dei rivali e imposto una royalty del 30% agli sviluppatori di app. I regolatori europei ritengono che le pratiche di Apple possano incidere sui consumatori impedendo loro di accedere a una scelta più ampia e a prezzi più bassi. Si tratta di situazioni difficili da contestare e non dipendenti da automazione o algoritmi insondabili.

SONO LE ULTIME Duecartucce esecutive della Vestager su Big Tech, dopo l’ok a Google per l’acquisizione di Fitbit e quindi a una fetta di mercato basata su milioni di utenti che registrano informazioni su forma fisica e abitudini. Nelle scorse ore, la commissaria ha ribadito il suo “interesse” per il sistema di pubblicità di BigGe ricordato di avere sott’occhio anche i dati di Facebook. Accelera invece l’america, con contenziosi aperti da decine di Stati su temi che vanno dalla concorrenza alla privacy e con l’annuncio della fine della clausola del “porto sicuro” che finora li ha protetti dalla regolamentazione più severa degli altri Paesi. Un primo passo verso una web tax che si spera possa diventare globale. Intanto, a giugno, salvo sorprese dovrebbe arrivare una proposta in sede Ocse.