ASSENZA DI DEMOCRAZIA L’intellettuale è una spina nel fianco del regime: scarcerato dopo 20 giorni di sciopero della fame
Il Fatto Quotidiano
marzo 2021
Luana De Micco
Maâti Monjib è uscito dalla prigione di Al-arjat, nella periferia di Rabat, martedì scorso, dove era incarcerato dal dicembre 2020, molto dimagrito, dopo 20 giorni di sciopero della fame. “Le accuse contro di me sono state montate dalla polizia politica. Ora che sono in libertà provvisoria – ha detto – mi impegnerò per la liberazione degli altri detenuti”. L’intellettuale e giornalista, 60 anni, che ha anche la nazionalità francese, è uno dei maggiori esponenti della lotta per i diritti umani in Marocco. Nel 1999 era rientrato a Rabat dopo un lungo esilio all’estero, durante il quale aveva insegnato negli atenei d’europa e Stati Uniti, con l’arrivo al potere del figlio di Hassan II.
COME TANTI aveva creduto alle promesse di democrazia del giovane re Mohamed VI, non mantenute: i marocchini stanno ancora aspettando la loro “primavera”. Monjib è diventato subito uno dei bersagli del regime per il suo impegno alla testa dell’associazione Freedom Now e per i suoi testi di denuncia sugli abusi di potere e sull’assenza di democrazia pubblicati sul magazine online Zamane o sulle pagine di Alquds Alarab, a Londra. Monjib è stato arrestato in un ristorante di Rabat il 29 dicembre con un pretesto: “riciclaggio di denaro”. Il 27 gennaio, senza neanche potersi difendere in aula, è stato condannato a un anno di reclusione per “frode” e “attentato alla sicurezza dello Stato” nell’ambito di un processo senza prove iniziato nel 2015, ma rinviato più di venti volte. Il procedimento riguarda la gestione dei fondi della scuola di giornalismo da lui fondata, il Centro Ibn Rochd, e la sua Associazione marocchina per il giornalismo investigativo, che hanno formato centinaia di giovani reporter, tra l’altro all ’uso di applicazioni come Story Maker. Considerate scomode dal regime, sono state chiuse nel 2015. L’udienza in appello si terrà il 6 aprile. Il 4 marzo, smettendo di mangiare, Monjib ha scritto: “I miei articoli critici verso il sistema politico e le mie attività in favore dei diritti umani: ecco perché le autorità mi perseguitano”. L’ 11, i suoi legali francesi hanno sporto denuncia a Parigi per “attentato alla libertà individuale e alla vita altrui” rinviando ai trattati internazionali “calpestati dalla giustizia marocchina”. Il 22, i militanti di Reporters Sans Frontières si sono radunati davanti all’ambasciata del Marocco a Parigi per chiedere la liberazione del dissidente dalla salute fragile. Tra loro anche la moglie di Monjib, Christian Darde, anche lei attivista, che su Twitter si è rivolta a Macron perché mettesse fine al suo “incomprensibile silenzio”: “La salute di mio marito è in gioco. Intervenite”.
PARIGI HA FINITO col proporre a Monjib la “protezione consola re”. Il 26, finalmente, il giornalista è stato rimesso in libertà, ma non per questo è al sicuro: “Tutte le accuse contro di lui e contro gli altri giornalisti accusati a torto devono essere abbandonate al più presto, prima che altre vite siano messe in pericolo”, ha dichiarato Christophe Deloire, segretario generale di RSF.
Altri cinque giornalisti sono in prigione. A se tt e m b r e , il giornale online Mediapart aveva potuto sentire Monjib sul caso di Omar Radi, un collega in detenzione provvisoria da giugno con accuse di stupro. Monjib aveva denunciato l’ “atmosfera irrespirabile” che regna in Marocco dove “è la polizia politica a governare”. Aveva detto di sentirsi sempre “pedinato”, anche all’estero: ”Mi rendono la vita un inferno. Sono stato minacciato più volte per strada. Mi hanno fatto capire che dovevo chiudere il becco. Anche casa mia è sotto sorveglianza”. Nella classifica mondiale della libertà di stampa compilata ogni anno da RSF, il Marocco è al 133° posto su 180 paesi. Tanti intellettuali preferiscono andare in esilio. “Il Marocco – ha scritto Human Rigth Watch nel suo rapporto 2020 – ha intensificato la repressione contro chi interviene sui social e contro gli artisti e giornalisti che esprimono opinioni critiche nei confronti della monarchia. In questi ultimi anni – si legge – il Marocco ha arrestato e imprigionato attivisti e giornalisti per motivi molto dubbi”. La Ong denuncia il ricorso abusivo al codice penale per sanzionare i dissidenti. Ogni tipo di accusa, tra cui stupro o frode, è usata pur di imbavagliare le opposizioni. Raduni e manifestazioni sono vietate e ancora di più da un anno a questa parte, per via della pandemia.