Cosa scrivono gli altri (Corriere della Sera- «Il mio impegno è riaprire le scuole e far immunizzare i professori»)


Parla Miozzo, ora consulente del ministro Bianchi: le scelte sugli istituti devono essere uguali in tutta Italia

Corriere della Sera

marzo 2021

di Fiorenza Sarzanini 

Nel suo discorso al Senato, il presidente Draghi ha messo «una vera parità di genere» fra le priorità dell’agenda istituzionale. Un mese dopo, una delle prime azioni risolutive per fronteggiare il peggioramento del quadro pandemico (più che previsto: predetto) è stata di chiudere nelle zone rosse, quindi quasi ovunque, le scuole di ogni ordine e grado, comprese le elementari, le materne e gli asili nido. Insomma la misura che, fra tutte, promuove al massimo livello la disparità di genere. Non c’era scelta? C’era.

C’è sempre.

«Interventi mirati per riaprire le scuole al più presto con scelte che siano uguali in tutta Italia»: Agostino Miozzo, l’ex coordinatore del Cts diventato consulente del ministro per l’Istruzione Patrizio Bianchi, ribadisce il suo obiettivo.

Le scuole sono chiuse. Ancora crede di riuscirci?

«Il ministro Bianchi è deciso a fare tutto il possibile. Ovviamente dovrà confrontarsi con tutti gli imprevisti dettati dall’evoluzione della pandemia con le sue varianti virali, oltre che dalla campagna vaccinale».

Con i problemi di AstraZeneca molti professori non vogliono più vaccinarsi.

«Aspettiamo il verdetto dell’Ema. Se confermerà, come mi auguro, che il vaccino può essere distribuito vi saranno indubitabilmente resistenze da parte di molti che avranno timori e preoccupazioni ad utilizzare AstraZeneca. Ma allora dovrà essere fatta una seria campagna di informazione e sensibilizzazione in proposito. Dobbiamo poi sperare che gli altri vaccini arrivino nei tempi e nelle quantità previste. Da tecnico delle emergenze posso solo dire che sono incidenti di percorso che in situazioni così complesse accadono sempre».

Quali sono le altre misure per far ripartire la scuola?

«Oltre a vaccinare il personale bisogna organizzare un sistema di monitoraggio sanitario efficace ed efficiente e soprattutto di pronto intervento. E poi far sì che le decisioni sulle aperture e sulle chiusure siano sempre di più concertate e omogenee sul territorio nazionale».

Si riferisce alle Regioni?

«Ci deve essere un lavoro di collaborazione tra tutte le componenti del sistema: il generale Figliuolo con tutto l’apparato militare che garantirà, nei tempi compatibili dalla disponibilità dei vaccini, la copertura per tutto il personale della scuola, la Protezione civile che dovrà garantire il supporto di ogni esigenza emergenziale che potrà emergere sul territorio, il ministero della Salute con le sue strutture regionali, e ovviamente le Regioni che dovranno garantire la riapertura in sicurezza per tutti. In buona sostanza tentare di far suonare a tutte queste componenti del sistema uno spartito armonico, coordinato».

Non ci si poteva pensare prima?

«Abbiamo patito il risultato di tutte le lacune di cui il mondo della scuola ha sofferto nei decenni passati, arrivando ad affrontare la più grande emergenza della nostra storia con una struttura poco efficiente, che si è salvata, e si salva ancora oggi, solo grazie al sacrificio ed allo spirito di servizio di centinaia di migliaia di professori, insegnanti, personale di supporto che in questi mesi hanno fatto miracoli pur operando con strumenti didattici spesso da dimenticare».

Perché ha lasciato il Cts?

«Non ci sono retroscena. Il ciclo si è esaurito, ho ritenuto di essere più utile altrove».

Qual è stata la sua soddisfazione in questo anno?

«Aver lavorato in una grande squadra di persone eccezionali che ha prodotto una montagna di indicazioni, suggerimenti, analisi, nonostante contestazioni, critiche, minacce. Ma soprattutto vedere il tema scuola salire al livello di priorità politica, sentire il presidente del Consiglio considerare il mondo della scuola e i giovani una delle maggiori priorità del governo».

E la delusione?

«Proprio quella di non essere riusciti a tenere le scuole aperte nel periodo in cui la didattica in presenza era ancora possibile. Non essere riusciti ad incidere sulle politiche regionali e locali per cui venti regioni hanno avuto indirizzi e hanno spesso fatto scelte decisamente localistiche senza alcun riferimento con il sistema nazionale».

Prenda un impegno.

«Avremo studenti delle superiori che andranno alla maturità rischiando di aver fatto 4 o 5 mesi di scuola in presenza negli ultimi due anni, così come gli universitari. Una condizione devastante per la salute mentale e la preparazione dei nostri ragazzi che una volta superata la pandemia si confronteranno con il mercato del lavoro con il peso enorme di un periodo di costruzione della loro formazione culturale mutilato in modo decisamente critico. Farò l’impossibile per recuperare ciò che abbiamo perduto».