Cosa scrivono gli altri (Avvenire – UNA GIUSTA CURA PER I CONFLITTI)


In forza del decreto 13/2021, diventerà operativa anche in Italia la legislazione europea che obbliga gli importatori di metalli, con provenienza estrattiva da zone segnate da guerre o da altri tipi di conflitti e di rischi, a vigilare sulle filiere di approvvigionamento in modo da escludere qualsiasi connessione con i “signori della guerra” e altri soggetti colpevoli di violazione dei diritti umani. I minerali in questione sono stagno, tantalio, tungsteno, oro e ci riguardano molto da vicino perché sono di uso comune. Molti di loro contribuiscono alla fabbricazione di cellulari, computer e ogni altro dispositivo elettronico. Ed è un fatto che per il tramite di 400 importatori, la Ue assorbe circa il 35% del commercio mondiale dei quattro minerali in questione, collettivamente indicati con la sigla 3T&G. Non c’è forse modo migliore, nel nostro Paese, per onorare la memoria e l’impegno dell’ambasciatore Luca Attanasio ucciso, con chi accompagnava la sua missione politica e umanitaria, in terra congolese. Un po’di storia. Il primo Paese ad avere imposto alle imprese importatrici di minerali e metalli l’obbligo di vigilanza sulle filiere di approvvigionamento sono stati gli Stati Uniti, che nel 2010 vararono il così detto Dodd Frank Act. Constatato che i conflitti presenti in Paesi come, appunto, Repubblica Democratica del Congo, ma anche la gemella Repubblica del Congo, Repubblica Centrafricana, Sudan del Sud, Ruanda, Uganda, Zambia, Angola, Burundi, Tanzania, erano condotti da regimi e gruppi armati che si finanziano con i proventi derivanti dalla vendita di minerali estratti nei propri territori, non di rado col lavoro forzato spesso minorile, si assunsero misure con lo scopo di interrompere il flusso di denaro che alimenta i conflitti. Anche la società civile europea esercitò tutta la pressione di cui era capace affinché nella Ue si arrivasse a un provvedimento analogo, ma solo nel 2014 la Commissione europea redasse una prima bozza di regolamento nella stessa direzione. Poi, ci vollero altri tre anni per concludere l’iter legislativo e finalmente, nel 2017, il regolamento 821 venne assunto congiuntamente da Parlamento e Consiglio europei. Pur rimandandone l’attuazione al 1° gennaio 2021.
In ambito aziendale il concetto di vigilanza è meglio conosciuto come due diligence, alla lettera “dovere di diligenza”, anche traducibile come dovere di perizia, cura, controllo. Un precetto dalla forte valenza morale che trova la sua applicazione nell’adozione di una serie di misure organizzative tese a evitare il rischio di errori, violazioni, omissioni. Se rispetto a tematiche di carattere fiscale, conta- bile, tecnico, la due diligence è ormai pratica abbastanza diffusa, non è ancora così sviluppata nei confronti di obiettivi sociali come la tutela dei diritti umani, della dignità del lavoro, del benessere collettivo. Un ritardo preoccupante perché la due diligence è universalmente riconosciuta come un pilastro della responsabilità sociale d’impresa. Non a caso, assieme alla trasparenza e alla disponibilità a porre ri- medio alle violazioni, essa è nella strategia-chiave individuata dall’Onu per ottenere il rispetto dei diritti umani in ambito produttivo. Lo testimoniano i Guiding Principles on Business and Human Rights, le li- nee guida adottate nel giugno 2011 dal Consiglio per
i diritti umani dell’Onu.
Nel caso dell’importazione di metalli e minerali connessi con zone di guerra, la legislazione europea im- pone che la due diligence sia condotta secondo le modalità previste dalle linee guida messe a punto dal- l’Ocse. Esse chiedono che le imprese si dotino di un si- stema organizzativo interno capace di tracciare l’inte- ro percorso seguito dai loro prodotti, di conoscere tutti i passaggi di denaro avvenuti nella loro catene di ac- quisto, di censire tutti gli attori intervenuti a qualsiasi titolo nelle loro filiere di approvvigionamento (imprese estrattive, intermediari commerciali, fonderie, imprese metallurgiche), di eseguire controlli sui fornitori e di sapere imporre azioni correttive in caso di violazioni di qualsiasi genere. Inoltre l’Ocse chiede alle imprese di sottomettersi periodicamente all’azione ispettiva di soggetti esterni oltre che di redigere rigoro- si e completi rapporti annuali.
Varie testimonianze rivelano che in alcune aree minerarie  dell’Africa persistono situazioni di violenza e di guerra, in particolare nella regione dei Grandi Laghi, che interessa la Repubblica Democratica del Congo, il Burundi, il Ruanda e l’Uganda. Ma un rapporto redatto nel 2020 dal Gao, il centro studi che compie ricerche per il Congresso degli Stati Uniti, certifica che dal 2008 al 2014 nella zona dei Grandi Laghi si è registrata una riduzione significativa di violenza sessuale, evento sempre collegato a una minore intensità di con- flitti armati. Lo stesso periodo è stato anche quello in cui negli Usa si è avuto il maggior numero di imprese che hanno aderito agli obblighi imposti dal Dodd Frank Act. Segno di quanto le imprese possano essere determinanti per il superamento dei conflitti se scelgono la via della responsabilità, della cura e della trasparenza. Ma come consumatori possiamo giocare anche noi la nostra parte. Seguendo, magari, l’esempio delle 23 guide escursionistiche di Domodossola (“Avvenire”, 24 febbraio 2021 lettera con risposta del direttore) che hanno scritto a Garmin, la principale compagnia produttrice di strumenti Gps, per sollecitarla a verificare la provenienza dei minerali incorporati nei suoi prodotti, altrettanto possiamo fare noi verso i produttori dei nostri telefonini. Se gli importatori di minerali devono rispondere oltre che alla legge anche a una pressione “dal basso” hanno una ragione di più per comportarsi correttamente. La responsabilità, da qualsiasi parte si attivi, porta sempre buoni frutti.
Francesco Gesualdi