Cosa mettiamo nel carrello della spesa? Uno studio sulle etichette


AGI – Nel 2019 c’è stato un boom del consumo di proteine, anche se quello di fibre è in crescita (+6,3%) mentre continua l’attenzione del consumatore verso la riduzione degli zuccheri.

Sono alcune delle tendenze nutrizionali più diffuse, certificate dalla ricerca curata dall”Osservatorio Immagino” di Nielsen Gs1 Italy 2020, che ha redatto il rapporto “Le etichette dei prodotti raccontano i consumi degli italiani”.

Nel documento vengono incrociate tutte le informazioni riportate sulle confezioni dei circa 112 mila prodotti digitalizzati a dicembre dell’anno scorso.

Dalla reclame alla scelta consapevole

Perché il prodotto – è ormai chiaro –  lo fa soprattutto l’etichetta. È sempre stato così e così continuerà ad essere, come ha ben spiegato Vance Packard, professore alla New York University, nel suo “I Persuasori occulti”, fondamentale saggio apparso nelle librerie nel 1957 aprendo gli occhi sulla dinamica, soprattutto psicologica, delle reclame nell’influenzare i nostri consumi quotidiani. Dal cibo all’abbigliamento passando per la tecnologia. 

Tuttavia, le etichetta negli anni si sono modificate e anche aggiornate, a seconda delle esigenze, passando da quelle che reclamizzano azienda e logo, a quelle più di sostanza che interessano più direttamente i consumatori. In particolare nel comparto alimentare. Si tratta delle indicazioni contenute sul retro delle confezioni, quali ingredienti, proprietà nutrizionali, con o senza grassi, zuccheri, conservanti, con o senza olio di palma, poche calorie, senza sale, senza conservanti, non fritto, senza lievito, senza glutammato, senza Ogm, coloranti, antibiotici o additivi vari, eccetera. Tutte notizie che arricchiscono di nuovi contenuti i processi di scelta del consumatore che vuole sapere sempre più cose su ciò che acquista. Così il 2019, per esempio, è stato – appunto – l’anno del “boom delle proteine”.

Così, come la generazione dei nostri nonni comprava i prodotti in base alla loro “disponibilità” sul mercato e nei negozi – perché a quei tempi, durante la guerra,  si poteva acquistare solo quel che c’era –  quella dei nostri genitori ha affidato le proprie scelte soprattutto alla “marca”, vera e propria bussola dei consumi condensati in un logo d’azienda (valori, fiducia, qualità), l’etichetta appunto. Oggi, invece, per le nuove generazioni – millennials, nativi digitali e X, Y e Z generation – l’imperativo categorico sono le “informazioni”.

A ogni stle di vita la sua etichetta

Ciò che fa anche capire come è composto e come cambia il carrello della nostra spesa, con prodotti divisi per tipologia e diversi lifestyle: biologico, vegan o halal, per la cura della casa “green”, rich in, legati ai temi della social responsability, “free form” per chi soffre di intolleranze oppure caratterizzati e comprovanti “l’italianità”.

Una serie di prodotti, dunque, che nel 2019 hanno sviluppato 36 miliardi di euro di vendite, pari all’82% dei canali distributivi come iper e supermercati. E che tracciano la radiografia dei cambiamenti dei consumi.
Tanto più rilevante nell’anno del Covid-19, il virus che sta sconvolgendo le dinamiche quotidiane del Pianeta. I

l “boom delle proteine” si accompagna perciò “alla positiva continuazione della dinamica delle fibre e dei grassi, al proseguimento del calo dei carboidrati e degli zuccheri, in particolare, e alla sostanziale stabilità del valore energetico medio dei prodotti alimentari” finiti nel carrello. 

Risultato? Calcolando la media ponderata dei contenuti dei nutrienti indicati sulle etichette nutrizionali di 67.660 prodotti tra quelli appartenenti principalmente alla catena delle bevande, della drogheria alimentare, del fresco e del freddo, il prodotto statistico disegnato dall’”Osservatorio Immagino” è così composto: “al 20,2% dai carboidrati, di cui l’8% è fatto di zuccheri, all’8.7 da grassi (per il 2,9 si tratta di grassi saturi), al 6,4% dalle proteine e al 2% dalle fibre, per un apporto energetico di 180,8 calorie” per 100g/100 di calorie. 

Largo al made in Italy

Ma se gli ingredienti contano nella loro composizione, anche “l’italianità” del prodotto ha un certo peso. Si legge nella ricerca dell’Osservatorio Immagino” Nielsen Gsl Italy 2020 che “sono state analizzate le caratteristiche rilevate in etichetta e sul packaging di 79.838 prodotti del mondo food e sono stati selezionati quei prodotti che riportano i claim ‘prodotto in Italia’ che comprende anche ‘made in Italy’, ‘product in Italy’, ‘solo ingredienti italiani’, ‘100% italiano’ e le indicazioni geografiche ufficiali della Ue come Igp, Dop, Doc e Docg, la ‘bandiera italiana’ e il nome della regione di riferimento”.  Il risultato, dunque, è che sono state 20 mila le referenze di prodotti che nel 2019 riportavano sull’etichetta un’indicazione riferita alla loro italianità, per una percentuale che supera “il 25% del totale food”. 

Interessante anche la performance dei prodotti Dop, che fa registrare un +7,1%, con un contributo particolare del formaggio grana nell’incremento. Da segnalare, in questo contesto, che tra le regioni con il maggior numero di prodotti che richiamano la “regionalità” troviamo Piemonte, Toscana, Emilia. Positivo, per il 2019, anche l’andamento dei prodotti che hanno evidenziato sul pack la presenza o l’aggiunta di un nutriente come vitamine, calcio, fibre, Omega3, ferro, fermenti lattici (+3,8%), proteine, potassio oppure etichettati come integrali. Performance: +2.4%. E +2,6% anche le vendite di prodotti legati alle intolleranze, fenomeno sempre più in crescita negli individui e argomento sempre più sentito e molto discusso tra le persone.

Più celiaci che vegani

Sono stati analizzati 71.723 prodotti, 9.431 quelli da poter scegliere come tali (pari al 13,1%) per un totale di vendite di 3.738 milioni di vendite (14,5%).  Tanto che i prodotti gluten free oggi superano ormai il 14% del totale delle vendite food mentre il peso in valore dei prodotti vegani è pari al 5,3%.

Nel rapporto dell’”Osservatorio Immagino” Nielsen Gs1 Italy 2020 non manca il focus sui 26 ingredienti benefici e “positivi” come mandorla, mirtillo, aveva, o la categoria spezie e semi, per esempio, in tutto 5.688 prodotti, pari al 7,9% del mercato per un giro di vendite che nel 2019 ha toccato i 1.301 milioni di euro (5,1%) con ottime performance per thé matcha e avocado.

Tuttavia, se nel corso del 2019 le icone, i bollini e i marchi che forniscono informazioni e garanzie sui prodotti hanno continuato a guadagnare spazio sulle etichette dei prodotti di largo consumo presenti negli ipermercati e nei supermercati italiani, confermandosi un elemento distintivo dell’acquisto – anche perché offrono ai consumatori precise garanzie sulle materie prime e sui processi produttivi utilizzati – nel rapporto dell’“Osservatorio Immagino” si può leggere che è “la bandiera del paese d’origine” che offre l’immagine “più rassicurante” sul pack con un’incidenza sul giro d’affari dei prodotti etichettati del 14,6$ del totale. Insomma, il logo conta, ma anche la nazionalità dei prodotti ha il suo peso. 

Vedi: Cosa mettiamo nel carrello della spesa? Uno studio sulle etichette
Fonte: lifestyle agi