AGI – La guerra dell’Ucraina si fa ovunque, anche sui social. Mentre Papa Francesco, sabato 12 marzo, twittava in 11 lingue, anche in ucraino e in russo, “In nome di Dio fermatevi! Pensate ai bambini” si diffondeva proprio per colpa di suo papà la foto di una bambina: un’immagine che entrerà nella storia come emblema di tutto ciò che è stato sbagliato sul web in questo conflitto.
Mi riferisco alla bimba ucraina di nove anni che succhia un lecca-lecca e imbraccia un fucile. Il padre aveva messo nelle mani della figlia un suo fucile scarico e aveva costruito artificialmente l’immagine in tutti i suoi elementi e atteggiamenti – lecca lecca compreso – come un’emblema contro l’invasione russa. Lo aveva detto ma moltissimi non se ne sono accorti e l’hanno presa per vera.
Non è semplice andare a leggere le didascalie. Non c’è paragone tra l’impatto di mani che imbracciano un fucile mentre la bocca succhia un dolcetto con l’ingenuità dell’infanzia e le spiegazioni di chi racconta quando ha costruito lo scatto come se fosse in uno studio televisivo.
Finita sulle prime pagine di moltissimi giornali e di moltissimi siti è diventata davvero un simbolo dell’orrore della guerra: non però secondo le intenzioni del genitore, non come immagine di resistente fierezza contro l’invasore, ma come ulteriore prova di quanto la tragedia scatenata dall’aggressione di Putin possa falsare ogni rapporto e avvelenare tutto e tutti.
La gravissima imprudenza commessa da molti influencer nel postare video e foto dei figli minori sui social con l’unico desiderio di acquistare visibilità e quindi denaro, diventa in questo caso intollerabile violenza.
Quella bimba di nove anni alla quale il padre ha messo in mano un fucile è stata trasformata in una “bambina soldato” in modo non molto diverso dai coetanei che non hanno nome e muoino lontano dall’Europa nei mille conflitti del terzo mondo. Rimane solo il bisogno di chiedere scusa ad ogni bambina e ad ogni bambino usato e abusato nella logica della guerra, perfino dal proprio papà e finanche con le migliori intenzioni.
Source: agi