Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa: un progetto morto sul nascere?


di Leonardo Bruni

La guerra a Gaza sembra aver messo in pericolo la realizzazione del Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (Imec), l’ambiziosa strategia di sviluppo infrastrutturale annunciata in occasione del G20 di Delhi, che avrebbe collegato l’India all’Europa passando per il Vicino Oriente. L’attacco di Hamas il 7 ottobre ed il conflitto che ne è scaturito hanno infranto le speranze di un avvicinamento tra Tel Aviv e il mondo arabo, spezzando un anello fondamentale nella catena che avrebbe collegato Bruxelles a Nuova Delhi. Tuttavia, le difficoltà dell’Imec e delle iniziative di connettività europee non sono solo dovute alla guerra, ma anche alla sfida europea di conciliare sviluppo sostenibile, ambizioni geopolitiche e la difesa di valori democratici e liberali.
Le motivazioni del Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa
A settembre si è celebrato il decimo anniversario della Belt and Road Initiative (BRI), la strategia economica cinese volta a finanziare e costruire infrastrutture per collegare la Cina al resto del mondo, spesso accusata di danneggiare la coesione europea, intrappolare i paesi nel debito, espropriare infrastrutture critiche ed erodere regole e valori liberali.

Come risposta, negli ultimi anni, l’UE, insieme a partner come gli Stati Uniti e il Giappone, ha cercato di stabilire iniziative infrastrutturali alternative sostenibili, trasparenti e basate sulle regole. È in questo contesto che, nel dicembre 2021, la Commissione europea ha inaugurato il Global Gateway, la sua strategia per mobilitare fino a €300 miliardi per progetti infrastrutturali di alta qualità e stabilire catene del valore più sicure e diversificate. Le interruzioni dei flussi di approvvigionamento causate dalla pandemia e dalle rigide politiche “zero COVID” di Pechino hanno evidenziato la necessità di fonti alternative di materie prime e beni manifatturati meno dipendenti dalla Cina.

A tal proposito, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha introdotto la sua strategia di “de-risking“, successivamente adottata dal G7 al summit di Hiroshima. Contrapposto alle posizioni più assertive di “decoupling“, il de-risking consiste nel rafforzare la sicurezza economica riducendo le dipendenze, rafforzando la produzione locale (reshoring), e spostando catene di approvvigionamento in paesi più vicini (near-shoring) o affini (friend-shoring).

La spinta verso il de-risking trova origine anche negli sforzi europei di trovare alternative al petrolio e gas russo. Tuttavia, l’Ue ha riscontrato difficoltà non solo a causa di carenze di infrastrutture energetiche come rigassificatori, ma per il suo poco peso diplomatico in Medio Oriente. Infatti, Bruxelles ha avuto scarso successo a convincere i paesi arabi a condannare l’aggressione della Russia. D’altro canto, la Cina ha agevolato con successo una riconciliazione tra Arabia Saudita e Iran. La capacità diplomatica di Pechino è indubbiamente stata rafforzata dalla BRI e la sua crescente presenza economica in questi paesi. In contrasto, il Global Gateway e l’iniziativa G7 Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII) non hanno ancora avuto nessun risultato concreto.

La proposta: cosa prevede il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa
Tutte queste preoccupazioni si sono concretizzate al G20 tenutosi a Nuova Delhi lo scorso settembre. Durante questo vertice (al quale il Presidente cinese Xi Jinping non era presente), i rappresentanti d’India, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti (EAU), Arabia Saudita, Francia, Germania, Italia e UE hanno firmato congiuntamente un memorandum per istituire il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (Imec).

Questo progetto, ampiamente visto come un’alternativa alla BRI, mira a creare una rotta ferroviaria e marittima tra India ed Europa attraverso il Medio Oriente. L’Imec, che dovrebbe diventare il progetto simbolo del PGII ed essere finanziata in parte dal Global Gateway, non solo scavalcherà il congestionato Canale di Suez, ma avvierà una nuova fase di integrazione economica tra Europa, India e Vicino Oriente. Inoltre, ci si attende che il progetto promuova lo sviluppo industriale in India, aiutando la democrazia più popolosa del mondo a emergere come un polo manifatturiero che, a differenza della Cina, sosterrà valori liberali e la preservazione dell’ordine internazionale basato sul diritto.

Secondo la proposta, beni indiani faranno scalo negli Emirati e in Arabia Saudita e, dopo aver attraversato la Penisola arabica, raggiungeranno il Mediterraneo passando per Israele. Anche se Riad deve ancora normalizzare i suoi rapporti con Tel Aviv, ci si aspettava – almeno fino allo scoppio della guerra tra Israele e Hamas – che la connettività economica portata dall’Imec facilitasse la riconciliazione, e incoraggiasse l’Arabia Saudita e altri Stati arabi a seguire il percorso degli EAU nel normalizzare le loro relazioni nell’ambito degli Accordi di Abramo.
Le sfide e le questioni aperte del Corridoio tra India ed Europa
Alcune stime suggeriscono che l’Imec possa essere 40% più veloce, e che possa ridurre i costi del 30% rispetto alla tradizionale rotta per il Canale di Suez. Tuttavia, anche se il Canale di Suez può essere congestionato e, come dimostrato dall’incidente dell’Evergiven, rimanere bloccato per diversi giorni, queste stime sembrano piuttosto ottimistiche. Innanzitutto, a differenza di Suez, l’Imec comporterebbe procedure di carico e scarico lunghe e costose, numerosi pedaggi e tariffe di transito, nonché sfide legate a complesse questioni doganali e regolatorie. Inoltre, gran parte delle infrastrutture necessarie deve ancora essere costruita. I $20 miliardi finora promessi dagli Stati partecipanti potrebbero non bastare, dato che futuri finanziamenti dipenderanno da investitori privati che potrebbero trovare proibitivi i costi del progetto.

L’Imec potrebbe anche non ridurre le dipendenze dalla Cina, dato che alcune delle infrastrutture che dovrebbero far parte del corridoio, in particolare il Porto del Pireo in Grecia e il Haifa Bayport Terminal in Israele, hanno una significativa presenza cinese.

Riguardo all’India, nonostante sia legittimo sostenere il suo sviluppo per sollevare la sua grande popolazione dalla povertà e per diversificare le catene di approvvigionamento europee, l’attuale approccio dell’Ue potrebbe mettere a rischio l’impegno europeo per i suoi valori. Anche se l’India rimane una democrazia, il governo nazionalista guidato dal primo ministro Narendra Modi è associato a gravi violazioni dei diritti umani, in particolare contro musulmani. Inoltre, l’India fino ad ora si è astenuta dal condannare l’invasione russa dell’Ucraina a causa della sua forte amicizia storica con Mosca. Sebbene si possa sperare in un cambio di governo in India, gli ultimi anni hanno anche visto un aumento di attacchi contro l’opposizione.

L’India non è l’unico paese lungo il percorso dell’Imec che non vanta un record positivo sui diritti umani. Sia l’Arabia Saudita che gli Emirati Arabi Uniti rimangono monarchie assolute fortemente coinvolte nella brutale guerra nello Yemen, e la cui concezione dei diritti della persona si distacca fortemente da quella europea e occidentale. A questo, infine, si aggiungono l’occupazione di Israele dei territori palestinesi, la costruzione di insediamenti illegali in queste zone e un sistema di governo condannato come apartheid da numerose organizzazioni per i diritti umani.

Quale futuro per l’Imec?
Sebbene sia comprensibile il desiderio dell’UE di diversificare le proprie relazioni economiche e rafforzare la propria rilevanza geopolitica in Medio Oriente e nell’Indo-Pacifico, il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa sembra non essere la soluzione. Dato il conflitto in Medio Oriente, è ora improbabile che questo progetto, che dipendeva da un avvicinamento tra Arabia Saudita e Israele, possa andare avanti. Tuttavia, l’Imec mette anche in evidenza gli obiettivi frammentati dell’azione esterna dell’UE.

Nonostante le aspirazioni europee di promuovere la democrazia e i diritti umani di fronte alle crescenti sfide russe e cinesi, l’Imec dimostra che l’UE è disposta a collaborare con governi di estrema destra come in India e Israele, così come con le petromonarchie dell’Arabia Saudita e degli EAU. Sebbene si possa sostenere che la realpolitik sia attualmente necessaria, l’Imec ha anche trascurato le significative tensioni in Medio Oriente e ha creato attrito con alleati come la Turchia, che, sentendosi messa da parte dal progetto, ha iniziato a cercare una cooperazione più stretta con la BRI cinese.

Inoltre, l’Imec ha portato il Global Gateway lontano dal suo obiettivo iniziale. Invece di finanziare la connettività sostenibile in paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa, ora sostiene la costruzione di infrastrutture nei ricchi stati del Golfo. Insieme alla minaccia di ritirare gli aiuti allo sviluppo per i Palestinesi durante le fasi iniziali del conflitto in Medio Oriente, i modesti sforzi dell’UE rischiano solo di allargare ulteriormente il divario tra Europa e Sud globale.

Fonte: orizzonti politici