La madre di tutti i tedeschi, il presidente dal pathos napoleonico, il capo di governo informale e succinto, il leader giovane alle prese con la sua ‘darkest hour’, l’ora più buia di churchilliana memoria, infine, ultimo ma solo per ragioni d’ospitalità, il premier italiano che sempre da sedi istituzionali rivendica la scelta della trasparenza invocando l’unità nazionale e internazionale contro la maledetta quanto invisibile bestia.
Merkel, Macron, Johnson, Sanchez e Conte: cinque leader europei ai tempi del coronavirus che più diversi di così non si può, ma con in comune la consapevolezza che è cruciale metterci la faccia, di fronte alla crisi più inaudita di sempre, imprevista e spiazzante. Anzi: per mesi ci sarà quasi solo la loro, di faccia, di fronte alle rispettive nazioni. E in gioco, oltreché ovviamente la sopravvivenza al virus, c’è il loro futuro politico, in un modo o nell’altro.
MERKEL
Negli stessi giorni in cui il capo dell’Eliseo è alle prese con ben tre discorsi televisivi ai francesi e una visita al centro parigino d’accoglienza per i senzatetto, la cancelliera tedesca si fa fotografare mentre va a fare la spesa da sola in un piccolo supermercato vicino casa: un pacco di rotoli di carta igienica, quattro bottiglie di vino, qualche sapone. Paga con il bancomat, rispettando la distanza di sicurezza. Un modo per dire, molto semplicemente, “sono una di voi”. E questo indossando la stessa giacchetta blu che due giorni prima aveva scelto per il suo, di discorso televisivo alla nazione. Uno solo, ma empatico, da ‘mamma dei tedeschi’, appunto: un appello al senso di responsabilità di ciascuno e alla condivisione, nel quale Merkel tiene a mostrare di comprendere la difficoltà e le sofferenze di ciascuno: “Quante persone amate perderemo”?, chiede la cancelliera, aggiungendo, con un soffio: “Sono convinta che riusciremo a vincere questa sfida, se tutti i cittadini comprenderanno che è la loro sfida”.
Il messaggio è chiaro: mostrare calma, anche quando l’apocalisse ci guarda in faccia, porsi lei stessa come antidoto alla paura. Non una sola parola “sbagliata”, così come non c’è una sola conferenza stampa o uscita pubblica “sbagliata” tra i 13 appuntamenti pubblici di cui dall’inizio della crisi la cancelliera è stata protagonista: solo l’elenco delle misure prese, un richiamo alla democrazia come esercizio di responsabilità condivise, il reiterato appello alla partecipazione nella lotta anti-Covid di tutti i cittadini. A quali si rivolge come ci si rivolge ad un parente, a un partner, ad un amico. “Abbiate cura di voi e dei vostri cari”, conclude il suo discorso alla nazione (l’unico) del 18 marzo. La quale nazione mostra di apprezzare: stando ai sondaggi, l’80% dei tedeschi giudica favorevolmente l’azione della cancelliera di fronte alla crisi.
MACRON
“Nous sommes en guerre” ripete invece sei volte Emmanuel Macron, noi siamo in guerra. Un discorso presidenziale, quasi napoleonico, iniziato con l’esclamazione “Francesi!” e chiuso con “Viva la Repubblica, viva la Francia”. All’inquilino dell’Eliseo preme soprattutto mobilitare i concittadini contro la pandemia: il suo è un discorso da condottiero, nello stile del generale de Gaulle, marziale, sia pure condito di un pathos ottimista, nel quale la grandezza dei francesi farà sì che la guerra sarà vinta.
Macron parla della strategia anti-virus come si parla di una campagna militare, aggiungendo ovviamente che “nessuna francese, nessun francese, sarà lasciato senza risorse”. L’obiettivo è anche quello di mostrare l’attivismo del governo. Per questo la sua presenza pare moltiplicarsi: nel giro di tre settimane visita l’ospedale Necker a Parigi, fa tre discorsi alla nazione, si riunisce con il comitato scientifico anti-virus, incontra a Mulhouse il personale medico e militare in prima linea nel Grand Est, rilascia interviste, parla con i lavoratori che creano le mascherine e via dicendo.
Merkel, invece, preferisce l’understatement, sia pure quello di una persona dedita 24 ore al giorno agli affari di governo, anche quando si mette in auto-quarantena dopo aver scoperto di esser stata visitata da un medico poi risultato positivo: presiede riunioni di governo in teleconferenza, chiama Trump e Xi, partecipa al vertice Ue sempre in videoconferenza (anche se in questo caso si sentirà solo la sua voce), decide un piano d’emergenza da 1000 miliardi come la Germania non ha mai visto nella sua storia. Un approccio che viene lodato anche dal New York Times, secondo cui Merkel “è capace di comunicare sempre, e con regolarità, in modo chiaro e tranquillo” persino quando dispone misure restrittive della libertà destinate a cambiare radicalmente la vita dei tedeschi. “Quando Merkel dice che la situazione è seria, a tutti tedeschi appare evidente che è vero”, taglia corto la politologa Susanne Pickel.
BOJO
Del tutto “british”, secco e tutto volto a dimostrarsi pragmatico il premier britannico, Boris Johnson. Il suo discorso alla nazione è il più breve di tutti. Esordisce con “buona sera” e conclude con “grazie”, dopodiché si limita ad elencare succintamente i provvedimenti presi dal suo governo: che rappresentano, non bisogna dimenticarlo, un’inversione di marcia a 180 gradi rispetto alle sue primissime esternazioni, quando disse agli inglesi “preparatevi a perdere i vostri cari” pensando di lasciare ‘aperta’ la Gran Bretagna in nome dell'”immunita’ di gregge”, poi abbandonata precipitosamente quando altrettanto precipitosamente cominciavano a impennarsi i casi di contagio.
Da quel momento, intorno a metà marzo, è cambiata anche la strategia pubblica di BoJo: ogni giorno una conferenza stampa ed un’amplissima esposizione pubblica, almeno fino a quando, il 5 aprile, non è stato ricoverato dopo esser risultato lui stesso positivo al virus. Anche da qui, passata fortunatamente la fase più acuta, ha voluto farsi sentire, facendo sapere di essere “di ottimo umore” e “pieno di vita”, oppure diffondendo notizie su come passa il tempo dopo essere uscito dalla terapia intensiva: innanzitutto guarda film sul tablet, tra cui “Mamma ho perso l’aereo” e “Il Signore degli Anelli”.
SANCHEZ
“Tutti insieme ce la faremo”, è invece la conclusione del discorso del premier spagnolo Pedro Sanchez, quando il 13 marzo scorso si rivolge alla nazione. Anche lui non si risparmia, tra interventi straordinari, l’annuncio dello stato d’emergenza, conferenze stampa alla Moncloa, un appello all’Unione europea, un videomessaggio agli spagnoli, una visita presso una azienda sanitaria che ha cominciato a produrre apparecchi respiratori, lettere aperte ai giornali europei e numerosi discorsi al Parlamento. Eppure, per certi aspetti, il discorso di Sanchez è il più drammatico: anche il premier spagnolo elenca tutte le tipologie di provvedimenti presi con tanto di articolazioni e conseguenze, ma Sanchez non nasconde di avere un problema che gli altri leader non hanno. Di fronte alle molte autonomie della Spagna e le molte spinte centrifughe, per Sanchez il problema è ribadire che “non ci sono colori politici, non ci sono ideologie, non ci sono territori. Prima vengono i nostri cittadini”.
Il 23 marzo Sanchez deve fare i conti con numeri con una deflagrazione del virus drammatica come quella dell’Italia: “So che è dura, ma dobbiamo andare avanti”, incalza il premier, secondo il quale “la Spagna ha adottato le misure di contenimento più severe in Europa o quasi nel mondo”. Non è un caso che Sanchez sia tra i primi a parlare del bisogno di un “Piano Marshall” per sostenere i Paesi più colpiti dalla pandemia. “E’ l’ora della responsabilità”, avverte il primo ministro spagnolo. E’ la sua “ora più buia”, come direbbe appunto Churchill: la sfida senza possibilità d’appello è mostrare che alla fine c’è la luce.
CONTE
Ad un registro istituzionale si affida il presidente del Consiglio Giuseppe Conte tanto nei suoi “messaggi alla nazione” quanto nelle conferenze stampa e, addirittura, nelle interviste rilasciate ai network stranieri, dalla Nbc alla Bild passando per la spagnola La Sexta. E dopo alcune apparizioni nella sede della Protezione Civile, all’inizio del contagio in Italia, con pullover scuro e pantalone informale, Conte si è affidato all’abito, grigio o blu. In tutte le occasioni il premier ha mandato i suoi messaggi da sedi istituzionali: la Sala dei Galeoni di Palazzo Chigi ha preso ormai il posto, anche per ragioni di sicurezza, della sala delle Conferenze di Palazzo Chigi. Da lì, con alle spalle il tricolore e la bandiera blu-stellata dell’Unione Europea, Conte ha parlato al Paese. A far discutere, prima ancora che i contenuti del discorso, sono stati i veicoli scelti per portare il messaggio ai cittadini.
Le dirette Facebook, seppure riprese in diretta dalle Tv nazionali, hanno fatto storcere la bocca ai puristi dei “messaggi a reti unificate”. Per quel che riguarda i contenuti, ci sono alcune formule che il presidente Conte ripete a ogni occasione. Quando parla ai media stranieri, la più frequente diventa “nessuno si salva da solo”: Conte, assieme al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, è impegnato in un duro braccio di ferro con l’Unione Europea per far vincere la linea della “solidarietà” contro i “falchi” olandesi e, quindi, convincere i partner europei a dare il via libera ai cosiddetti “coronabond”, avversati da chi teme si tratti di uno stratagemma per mettere in comune, non solo lo sforzo per uscire dalla crisi del coronavirus, ma anche il debito pregresso. Quando si rivolge ai cittadini o parla delle misure messe in campo dal governo, Conte batte il tasto su alcuni concetti chiave: “trasparenza”, innanzitutto. Trasparenza nella comunicazione dei provvedimenti e nella loro applicazione. Il secondo concetto cui conte fa spesso riferimento e’ quello di “responsabilità”.
La sua personale, che si assume “pienamente” quando ci sono da prorogare le restrizioni, e quella dei cittadini a cui si richiama per “non abbassare la guardia e vanificare cosi’ gli sforzi compiuti”. Toni istituzionali, dunque, sempre misurati. Fino all’ultima conferenza stampa, quella che ha provocato più polemiche: tra il richiamo a perseverare nello sforzo e il “grazie” ai medici, infermieri, operatori sanitari e a chi, con il proprio lavoro, garantisce l’approvvigionamento di beni di prima necessita’, il premier infila una dura invettiva contro quei leader dell’opposizione che hanno messo fine al clima di unità nazionale diffondendo, dice, fake news: “Mi corre l’obbligo di fare alcune precisazioni. Il Mes esiste dal 2012, non è stato approvato o attivato la scorsa notte, come falsamente e irresponsabilmente è stato dichiarato – questa volta lo devo dire, devo fare nomi e cognomi – da Matteo Salvini e Giorgia Meloni”. Falsamente e irresponsabilmente, ovvero il contrario di quella “responsabilità” e “trasparenza” che sono i concetti-valore più presenti nei discorsi del premier.
Vedi: Coronavirus e comunicazione: cinque stili per i leader europei
Fonte: estero agi