Nella bozza del documento finale sono pochi gli accenni al taglio delle emissioni e non si fa riferimento, neppure un accenno, all’eliminazione dei combustibili fossili quali carbone, petrolio e gas, questo poiché le prospettive dei singoli paesi continuano ad essere divergenti ed il percorso ancora pieno di ostacoli
di Giuseppe Accardi
Seconda e decisiva settimana di lavori a Glasgow, in occasione della Cop26, dove lo svolgimento delle trattative tra le delegazioni nazionali procede verso la conclusione e la stesura del documento finale. Numerosi e variegati, gli argomenti presenti al tavolo delle trattative, come differenti e molteplici sono i punti di vista e le prospettive delle diverse parti in causa.
Nella bozza del documento finale, con scopo esplorativo reso pubblico nella serata di ieri, sono pochi gli accenni al taglio delle emissioni e non si fa riferimento, neppure un accenno, all’eliminazione dei combustibili fossili quali carbone, petrolio e gas, questo poiché le prospettive dei singoli paesi continuano ad essere divergenti ed il percorso ancora pieno di ostacoli.
Eppure i documenti provvisori delle scorse edizioni, partivano con aspettative decisamente superiori rispetto poi a quelli scaturiti dai documenti finali, a sottolineare come questa conferenza sul clima stia procedendo a rilento e con l’ostracismo di alcuni dei maggiori responsabili dell’inquinamento. Oltre infatti ad India, Cina Russia, già da tempo in disaccordo con la comunità internazionale sul taglio delle emissioni e sulla neutralità climatica, si aggiungono alla lista degli insoddisfatti anche alcuni paesi europei (Austria, Polonia, Romania, Lettonia, Slovacchia, R. Ceca).
Dunque persino il vecchio continente, da sempre in prima linea per l’obiettivo della neutralità climatica, non si presenta compatto alla conferenza. Sono molti gli appelli, pervenuti a Glasgow da diverse parti del mondo, in particolare l’appello della comunità Sudamericana, già da tempo alle prese con la deforestazione Amazzonica e la conseguente crisi ambientale che attanaglia l’emisfero sud del continente americano.
I dati riportati dal Satellite Legal Amazon Deforestation Monitoring Project (PRODES) sono allarmanti, dal 2004 assistiamo ad una riduzione del 73% della superficie della foresta amazzonica, pari a 7536 km quadrati l’anno. Un numero davvero inquietante, che preoccupa gli attivisti e gli scienziati, schierati in prima linea nella battaglia per la salvaguardia del pianeta, che si va ad aggiungere alle innumerevoli situazioni emergenziali che gravano in maniera preponderante sui paesi più poveri, che non sono i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici, ma che ne subiscono le dirette conseguenze.
Vedremo, in attesa della stesura del documento finale, se la conferenza andrà a buon fine e si riusciranno a conciliare punti di vista considerati attualmente inconciliabili. Intanto manca sempre meno all’apocalisse climatica segnata dal Climate Clock, che preannuncia per il 2032 il superamento della soglia di aumento della temperatura terrestre di oltre 1,5 gradi. Il tempo scorre e ne rimane davvero poco per riuscire a salvare la nostra casa, forse anche per questo le mobilitazioni e le proteste nelle strade di Glasgow e in molte altre città si fanno sempre più accese e agguerrite, forse è giunto il momento che i grandi della terra ascoltino la voce del popolo sofferente, in prima linea in questa lotta contro il tempo.