Consulenti siano di supporto, non una supplenza


Non guardiamo il dito (le consulenze) ma la luna (il deficit di competenza della Pubblica Amministrazione)

di Antonino Gulisano

In questi giorni si è innescata una polemica sulla consulenza di McKinsey al Ministero dell’economia per la redazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Pur nella giustezza dell’aver proposto la questione, restano da mettere a fuoco alcuni pregiudizi consolidati nella nostra società (e certi limiti strutturali della pubblica amministrazione).

Nei giorni scorsi, molti hanno accusato il Mef e Daniele Franco di avere esternalizzato la scrittura del Pnrr a una “multinazionale straniera”. Lo ha chiarito il Ministero stesso in una nota, in cui riporta il valore economico della consulenza (25 mila euro) e il suo oggetto (“l’elaborazione di uno studio sui piani nazionali ‘Next Generation’ già predisposti dagli altri paesi dell’Unione Europea e un supporto tecnico-operativo di project-management per il monitoraggio dei diversi filoni di lavoro per la finalizzazione del Piano”).

Al di là degli aspetti formali, ci sono due questioni di sostanza. La prima riguarda la funzione dei consulenti, che vengono regolarmente utilizzati dai governi di tutti il mondo (oltre che, ovviamente, dalle imprese private). Le società come McKinsey sostengono i committenti nella costruzione di scenari e analisi, nelle attività di ricerca di dati e informazione e nella loro elaborazione. La seconda il lavoro del governo, che p delegare a un consulente il supporto agli obiettivi e agli strumenti degli assi portanti di un piano da centinaia di miliardi di euro, come previsto dalle linee guida approvata dalla Commissione U.E.

C’è, in ogni caso, una questione di sostanza: sebbene il ricorso ai consulenti sia normale e consueto, è indubbio che la nostra pubblica amministrazione abbia un serio deficit di competenze. È qui che si gioca una delle grandi partite del Governo Draghi: i pensionamenti di questi e dei prossimi anni (peraltro favoriti da Quota 100) determinano l’esigenza di nuove assunzioni. Se c’è un momento in cui la riconversione digitale della PA è necessaria, è proprio adesso: in modo da utilizzare i concorsi per attrarre professionalità in grado di interpretare un ruolo diverso del settore pubblico, e non semplicemente rimpiazzare chi esce. Qualunque impresa privata cambia, nel tempo, le caratteristiche professionali dei suoi addetti, sia investendo in formazione, sia approfittando del turnover tra i dipendenti: è l’ora che lo faccia anche lo Stato, in modo da eliminare ogni dubbio sul fatto che i consulenti (che continueranno a esserci) svolgano un lavoro complementare a quello delle strutture esistenti e non di supplenza.