CONFLITTI (E FALSITÀ) SUL CLIMA


di Maurizio Ferrera

La manipolazione delle informazioni distoglie l’attenzione dalle pratiche di «ambientalismo autoritario»
Sapevamo che la transizione energetica non sarebbe stata una passeggiata dal punto di vista politico. I contrasti che stanno emergendo in seno alla Conferenza sul clima (Cop28) in corso a Dubai ne sono una evidente conferma. La divergenza più rilevante è quella fra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo: i secondi rivendicano il diritto a una transizione più lenta e/o a compensazioni da parte delle economie più ricche, le principali responsabili «storiche» degli attuali livelli di inquinamento. Dietro a questo esplicito conflitto fra interessi si nascondono tuttavia questioni più complesse e spinose.
Fra i Paesi in via di sviluppo sono inclusi Cina, Russia e le cosiddette autocrazie petrolifere del Golfo, come Emirati, Qatar e Arabia Saudita. Oltre che consumatori di energia fossile, questi Paesi sono anche i principali produttori di idrocarburi. Il loro interesse è quello di salvaguardare il più a lungo possibile i proventi delle loro esportazioni. In Russia la posta in gioco è soprattutto il profitto degli oligarchi. Nelle autocrazie del Golfo e in Cina l’obiettivo è anche quello di finanziare lo sviluppo delle energie rinnovabili. Le affermazioni del presidente emiratino della Cop28 riflettono questa strategia. Sultan Al Jaber ha chiesto di sostituire l’obiettivo dell’eliminazione delle energie fossili (phase out) con la loro riduzione (phase down).
Ha giustificato la propria posizione dicendo «nessuna scienza» raccomanda l’eliminazione. Una fake news, che ha gettato una cortina di fumo su un fatto vero: la firma di lauti contratti di vendita, anche durante la Conferenza, da parte della compagnia petrolifera di cui lo stesso Al Jaber è amministratore delegato.
La Cina e i Paesi del Golfo hanno imboccato un percorso di transizione energetica che è stato definito «ambientalismo autoritario». Le decisioni vengono prese dall’alto e imposte ai cittadini senza nessuna consultazione. In una regione della Cina settentrionale, da un giorno all’altro è stato vietato l’uso del carbone per riscaldare le case. Nessuna protesta, nessun sussidio. Molti anziani e bambini sono morti di freddo. È chiaro che, se si realizza in questo modo, la decarbonizzazione ci riporta davvero all’epoca delle caverne, come ha detto Al Jaber.
L’ambientalismo autoritario poggia su un mix di repressione e manipolazione. Quest’ultima è usata anche per influenzare l’opinione pubblica dell’Occidente, sfruttandone i canali di comunicazione digitale aperti e privi di censura. Secondo l’associazione Climate Action Against Disinformation (Caad), Russia, Cina e Emirati sono responsabili di una buona parte della disinformazione climatica su internet. Il phase out delle emissioni viene presentato come una forma di «imperialismo occidentale», architettato per danneggiare i Paesi in via di sviluppo. Il flusso di fake news è aumentato esponenzialmente nei mesi precedenti l’inizio della Cop28.
La manipolazione delle informazioni distoglie l’attenzione dalle pratiche di ambientalismo autoritario e al tempo stesso contribuisce a destabilizzare le democrazie, aumentando la confusione comunicativa. In questo modo si sta erodendo il consenso verso le politiche di transizione energetica e si crea una crescente polarizzazione: da una parte i negazionisti, dall’altra i catastrofisti. In alcuni casi, le fake news sono platealmente false, non hanno nessun rapporto con i fatti. Molte contengono delle mezze verità, che le rendono verosimili. Altre mistificano la realtà capovolgendo le argomentazioni degli avversari.
Prendiamo il caso olandese. Per il partito di Wilders, probabile futuro premier, la decarbonizzazione è parte di un complotto internazionale chiamato Great Reset, il «grande ri-assetto» voluto dalle élite cosmopolite globali, gli ultra-ricchi come Soros, Rockefeller, Bill Gates e così via, che mirano a indebolire e impoverire i «popoli». L’espressione «reset» è stata presa da un libro scritto nel 2020 dal direttore del World Economic Forum, in cui si discutevano gli effetti della pandemia e della crisi climatica. Per l’estrema destra olandese, invece, il Great Reset è un complotto che si serve del cambiamento climatico per rubare la terra ai contadini e cancellare posti di lavoro nelle fabbriche.
Il cambiamento climatico è una gigantesca minaccia globale che richiede soluzioni incisive, rapide e coordinate. I Paesi occidentali sono stati i primi a riconoscere il problema e ad avviare il processo di transizione. Così facendo, le loro democrazie hanno aperto il vaso di Pandora dei disaccordi e dei conflitti. E hanno scoperto di essere più vulnerabili, meno capaci di affrontare il cambiamento. L’agenda Ue per la Cop28 era molto ambiziosa. I negoziati in corso sul testo finale sono tutt’altro che promettenti. Sul tema più caldo, quello delle emissioni da energia fossile, ci sono per ora tre opzioni. Le prime due sono phase out (eliminazione graduale ma totale) e phase down (semplice riduzione). La terza è «nessuna raccomandazione», ossia niente accordo. Guarda caso, si tratta dell’opzione sostenuta a gran voce da Arabia Saudita e Cina.

fONTE: CORRIERE