Condono edilizio: la prova sul termine di ultimazione delle opere


Consiglio di Stato: “in materia di condono edilizio l’onere nella prova di dimostrare il ricorrere delle circostanze previste dalla legge per l’accoglibilità dell’istanza di sanatoria verte in capo al richiedente”

Il rilascio del condono edilizio è subordinato, tra i vari requisiti dell’immobile e gli adempimenti a carico di chi presenta l’istanza, anche al rispetto di un termine ben preciso per l’ultimazione delle opere. Prova che deve essere inconfutabile e che ricade appunto in capo a chi richiede la sanatoria perché, fino a prova contraria, se l’Amministrazione sostiene che l’opera non è condonabile, non c’è molto da fare.

Condono edilizio e prova ultimazione delle opere: la sentenza del Consiglio di Stato

Lo spiega bene il Consiglio di Stato con la sentenza del 20 settembre 2023, n. 8440, con cui ha respinto il ricorso in appello contro il provvedimento di diniego all’istanza di condono edilizio, relativo alla sanatoria del secondo piano di un immobile. Secondo l’amministrazione, dalla ripresa aerofotogrammetrica in proprio possesso di maggio 2003 non si riscontrava la presenza di questa parte dell’edificio, a testimonianza che l’opera non fosse stata ultimata entro il 31 marzo 2003, come richiesto dalla legge n. 326/2003 (c.d. “Terzo Condono Edilizio”).

Il TAR aveva già respinto il ricorso, confermando la valenza probatoria del rilievo effettuato dall’Amministrazione, come confermato dal disposto dell’art. 23, comma 1, della legge n. 47/1985 (c.d. “Primo Condono Edilizio”) per cui “Le regioni stabiliscono, con proprie leggi, quali aree del territorio debbano essere assoggettate a particolare controllo periodico dell’attività urbanistica ed edilizia anche mediante rilevamenti aerofotogrammetrici, ed il conseguente aggiornamento delle scritture catastali.”.

Data ultimazione lavori: onere della prova è a carico dell’istante

Inoltre è principio ormai consolidato che la prova sulla realizzazione delle opere abusive entro la data del 31 marzo 2003 grava sull’interessato alla sanatoria, che può avvalersi, se non vi è contestazione, della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ma a fronte di elementi di prova a disposizione dell’autorità comunale che attestino il contrario, quali il rilievo aerofotogrammetrico, il richiedente il condono è gravato dell’onere di provare, mediante elementi certi, quali fotografie aeree, fatture, sopralluoghi e così via, l’effettiva ultimazione delle opere entro il termine previsto dalla legge per poter usufruire del beneficio, non potendo limitarsi a contestare i dati in possesso dell’amministrazione senza fornire alcun elemento di prova a corredo della propria tesi.

Si tratta di una tesi confermate in appello anche dai giudici di Palazzo Spada: a fronte dei rilievi acquisiti dal Comune, i ricorrenti non hanno prodotto validi ed efficaci elementi contrari di prova. L’inesistenza dell’appartamento da condonare al 12 maggio 2003 e, prima ancora, al precedente 31 marzo emerge dal rilievo dell’aerofotogrammetria, ossia dall’attività ricognitiva svolta dal Comune la cui attendibilità scaturisce dall’assenza di concorrenti elementi di prova di segno avverso.

Ricorda il Consiglio che il rilievo aerofotogrammetrico non ha il valore dell’incontrovertibilità proprio di una piena prova, essendo in genere formato non da un pubblico ufficiale ma da un operatore privato e la sua attendibilità può essere condizionata da una molteplicità di fattori (tecnologici, come la maggiore o minore risoluzione, ambientali, come fenomeni di rifrazione, la presenza di vegetazione che può schermare le costruzioni, etc.).

Proprio per questo è la prova contraria, che però deve essere concreta e rilevante: in materia di condono edilizio l’onere nella prova di dimostrare il ricorrere delle circostanze previste dalla legge per l’accoglibilità dell’istanza di sanatoria verte in capo al richiedente. Si tratta di un principio consolidato, secondo cui la prova della data di realizzazione degli abusi al fine dell’applicabilità del regime di sanatoria, sia esso quello inerente all'”ordinario” accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), già art. 13 della legge n. 47/1985, sia esso quello delle “sanatorie eccezionali” disposte con apposite legge di c.d. condono edilizio.

L’onere di provare la data di realizzazione dell’abuso al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per la sanatoria grava, infatti, su chi lo ha richiesto, atteso che solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto. Di converso, l’amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno del suo territorio.

In questo caso, non è stata fornita alcuna prova oggettiva in grado di smentire gli accertamenti effettuati dal Comune.

Condono edilizio e silenzio assenso: le condizioni per la sua legittimità

Infine il TAR aveva negato l’efficacia della sanatoria edilizia per silentium dedotta dai ricorrenti sul rilievo che, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985 e dell’analoga disposizione contenuta art. 32, comma 37, del decreto legge n. 269/2003, il silenzio assenso previsto in tema di condono edilizio non si forma in virtù del solo decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione comunale, essendo necessario l’adempimento degli oneri documentali ed economici preordinati ex lege all’accoglimento della domanda.

Occorre, per altro, la prova della ricorrenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi ai quali è subordinata l’ammissibilità del condono, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo per il condono del 2003, il fatto che si tratti di manufatto ultimato entro il 31 marzo 2003.

Anche in questo caso il Consiglio ha confermato le tesi di primo grado: per quanto riguarda la formazione del silenzio assenso, l’operatività dell’istituto ex art. 35, comma 12, della legge n. 47/1985 è subordinato all’allegazione alla domanda di tutta la documentazione necessaria per il suo esame, prescritta dal comma 3 della stessa disposizione. Diversamente, il silenzio non è significativo poiché è pienamente giustificato dalla impossibilità, per l’amministrazione, di pronunciarsi, a causa della mancanza dei necessari elementi documentali di valutazione.

In questo caso, il condono edilizio non si è perfezionato per silenzio accoglimento, ostandovi l’accertata inesistenza dell’appartamento da sanare, e quindi la non avvenuta ultimazione dell’opera, alla data del 31 marzo 2003. Di conseguenza, non solo il diniego di condono è stato giudicato legittimo, ma anche il conseguente ordine di demolizione, senza nessun onere motivazionale aggiuntivo per l’Amministrazione oltre che quello dell’accertamento degli abusi e della volontà di ripristinare la legalità sul territorio.

 

Fonte: https://www.lavoripubblici.it/