Con i Cacciatori di Reti, per un mare più vivo.


di Livio Mario Cortese

Volontari appassionati ripuliscono i fondali catanesi:“Il mare non si rispetta a parole”.


Catania, città marittima che dimentica il proprio mare. Si sente dire spesso ma non è un luogo comune: basta percorrere il litorale, dalla Plaia ad Acireale, per imbattersi in isole di degrado sempre più ampie. Anche le acque, troppo spesso, si trovano in condizioni se è possibile peggiori. Tuttavia rare persone non si rassegnano a questo stato di cose, continuando a spendersi per la tutela del Golfo e dei suoi fondali: ingegni ostinati, disillusi, entusiasti. Abbiamo incontrato i Cacciatori di Reti Fantasma, condividendo qualche “battuta di pesca” negli specchi acquatici più affascinanti  ma a rischio di degrado. Nel giro di pochi giorni i Cacciatori studiano da vicino le condizioni dei diversi siti, quindi intervengono. E dopo poche immersioni, tratti esauriti di fondale possono iniziare a rifiorire. Ma cos’è una “rete fantasma”, e perché tale accanimento? “Le reti da pesca abbandonate rappresentano circa il 45% dei rifiuti plastici dispersi in mare. Sono devastanti ovunque si trovino: intrappolano pesci, crostacei, anche uccelli se galleggiano a pelo d’acqua; e pescano sempre”. A parlare è Giuseppe Longo, trent’anni da subacqueo e almeno la metà dedicati alla salvaguardia ambientale: “Temo siamo rimasti gli unici, nella nostra provincia, a compiere queste operazioni di recupero. Abbiamo cercato contatti con i principali gruppi subacquei [in provincia se ne contano almeno quaranta, varie le dimensioni, n.d.r.], ma i riscontri sono stati minimi. Tanti si sono riempiti la bocca di progetti e iniziative, giusto per farsi pubblicità ed acquisire contributi”. Poche attività disinteressate, realizzatesi negli anni, restano discontinue. Fuori da velleità pubblicitarie, questi insoliti “attivisti”coltivano idee pratiche: “Abbiamo dei limiti operativi”, nota Longo, “perché difficilmente possiamo contare su mezzi d’appoggio. Una barca di 4-5 metri sarebbe l’ideale, perché spostare un cumulo di reti che galleggiano a 300m dalla costa è complesso e logorante”. Ma viene fatto lo stesso. Le acque di Cannizzaro, che celano reperti archeologici ed un’autentica foresta di gorgonie, hanno visto più volte l’impegno dei volontari. “Ma siamo isolati: manca una cultura adeguata e la collaborazione di chi potrebbe farlo”, lamenta Gaetano Di Maria, altro istruttore noto per la dedizione a questa causa: “Da anni, di fronte al Bellatrix, continuano a calare reti a brevissima distanza da riva, anche sui palloni segnasub! Non esiste, ma servirebbe, una sinergia con gli enti preposti al controllo”. 280, da fine 2010, i recuperi eseguiti: il più profondo ha visto una coppia di sommozzatori operare a -67 m di quota; tra i materiali più comuni, oltre alle reti, spiccano nasse, cordame e copertoni. “A Capomulini ne abbiamo ripescati 46, anche di quelli da camion: c’è dolo, vengono smaltiti in mare”, ci racconta Mario C. trattenendo la rabbia. L’acqua ha il colore dell’alba appena conclusasi; la squadra scivola tra gli scogli con leggerezza, qualche risata non manca ed aiuta a concentrarsi durante gli ultimi controlli.

La discesa è rapida fino ad un fondo di -45m sul quale i quattro sommozzatori si allargano: pinne, occhi e lame pronti a scattare nella gioia d’una caccia che non distrugge. Il primo cumulo di lenze viene avvistato e raccolto in pochi minuti, ma ce ne sono altre: coltelli e cesoie liberano gli animali presi nel mezzo. Tagliare, riavvolgere, controllarsi tra compagni e proseguire: i movimenti sono armonici, dietro si percepisce l’intesa acquisita durante centinaia d’immersioni. Il lavoro viene ripreso con una piccola action-cam: foto e riprese sono piacevoli e servono poi a rivedersi per perfezionarsi. Dopo poco più di un’ora, portata a termine la decompressione, il gruppo risale gli scogli trasportando uno spesso viluppo di cordame. Le fibre naturali sono ormai poco comuni: si tratta comunque di fibre sintetiche le cui molecole, deteriorandosi, entrano nella catena alimentare. Un danno ancora sottovalutato, che riguarda ogni tipologia ambientale.

Per la salvaguardia delle acque catanesi manca un programma sistematico: ma un progetto, finora non scritto, cresce nella passione di pochi. Questi si raccontano volentieri, ribadendo tuttavia che il rispetto per il mare passa dai fatti.